Tribunale Arezzo, 03/01/2020, n.6
Fatto
MOTIVI DELLA DECISIONE
1) M.D.C. S.n.c. di Ac. Cl. & C. (già Molino di Ca… S.n.c. di Ac. Cl. & C.), Ba. An., Ac. Cl., Ac. An., Ra. Pi. e Ac. Ge. hanno proposto opposizione al decreto ingiuntivo n. 723/2015 emesso nei loro confronti dal Tribunale di Arezzo in data 27.5.2015, per l’importo di E 517.205,51 (oltre accessori e spese). A sostegno dell’opposizione è stata dedotta:
– l’inidoneità della documentazione dimessa dalla ricorrente in sede monitoria al fine della prova del credito vantato;
– la mancata sottoscrizione del contratto di conto corrente n. –omissis– (il cui saldo era stato posto, tra gli altri, a fondamento della pretesa monitoria);
– la mancanza dei presupposti per la risoluzione del contratto di mutuo ipotecario n. –omissis– del 24.12.2013 (il cui residuo dovuto era stato parimenti posto a fondamento della pretesa monitoria);
– la ravvisabilità di indebito anatocismo nel predetto rapporto di conto corrente;
– la ravvisabilità di profili usurari sia nel rapporto di conto corrente che nel contratto di mutuo sopra ricordato;
– l’indebita applicazione di commissioni di massimo scoperto;
*- l’illegittimità della compensazione operata dall’istituto di credito in riferimento a somme presenti presso quest’ultimo e di spettanza degli ingiunti.
Sulla base di tali assunti è stato chiesto l’accoglimento delle seguenti domande:
“Piaccia all’Ecc.mo Tribunale di Arezzo, disatteso quanto in contrario espongasi o richiedessi per le motivazioni enunciate in premessa: In Via preliminare: – Revocare o quando meno sospendere la provvisoria esecuzione concessa ai sensi dell’art. 642 c.p.c. del decreto ingiuntivo n. 723/2015 del 27.05.2015 emesso dal Tribunale di Arezzo nel fascicolo telematico n. 1863/2015 R.G. nei confronti della società M.D.C. s.n.c. di Ac. Cl.; Nel Merito In accoglimento della presente opposizione – ACCERTARE E DICHIARARE la nullità del decreto ingiuntivo n. 723/2015 del 27.05.2015 emesso dal Tribunale di Arezzo nel fascicolo telematico n. 1863/2015 R.G. in quando emesso in violazione degli artt. 50 e 117 T.U.B. per assenza di prova scritta e comunque dei presupposti di cui all’art. 633 c.p.c. e per l’effetto – REVOCARE il decreto ingiuntivo n. 723/2015 del 27.05.2015 emesso dal Tribunale di Arezzo nel fascicolo telematico n. 1863/2015 R.G. in quanto infondati appaiono le pretese della creditrice per tutti i motivi indicati e meglio articolati nell’atto di citazione in opposizione. 1. QUANTO AL CONTRATTO DI MUTUO CHIROGRAFARIO – Accertare e dichiarare che il contratto di mutuo chirografario n. –omissis– stipulato in data 24.12.2013 sottoscritto tra la società M.D.C. s.n.c. di Ac. Cl. e la Banca di Anghiari e Stia Credito Cooperativo s.c. contiene la pattuizione ed applicazione di interessi usurari e pratiche anatocistiche ex art. 1815 c.c., e per l’effetto dichiarare il predetto mutuo a titolo gratuito; – Accertare e –omissis– /–omissis– stipulato in data 24.12.2013 sottoscritto tra la società M.D.C. s.n.c. di Ac. Cl. e la Banca di Anghiari e Stia Credito Cooperativo s.c., in relazione alla pattuizione delle clausole di determinazione del calcolo dell’interesse e ciò in violazione dell’art. 1346 c.c. ; – Determinare quelle somme indebitamente percepite ad oggi dalla Banca di Anghiari e Stia Credito Cooperativo s.c. in relazione al mutuo chirografario e meglio specificate nella perizia di parte nella somma in E 5.506,88, salvo quel più o quel meno che verrà ritenuto di giustizia e che comunque verrà ricalcolato in sede di C.T.U. tecnico bancaria e sulla base della documentazione in atti e per l’effetto Compensare ai sensi dell’art. 1241 e segg.ti c.c. le somme così calcolate con quelle dovute dalla società M.C.D. s.n.c. di Ac. Cl. alla Banca di Credito Cooperativo e conseguentemente dai fideiussori Ac. An., Ra. Pi. e Ac. Ge. A titolo di capitale residuo; 2. QUANTO AL CONTRATTO DI CONTO CORRENTE N. –omissis–: – Accertare e dichiarare invalidità e/o la nullità parziale del contratto di conto corrente n. –omissis– nonché del contratto di Anticipi fatture e anticipi salvo buon fine ad esso collegati, in quanto carente del tutto della sottoscrizione da parte del correntista;
Accertare e dichiarare invalidità e/o la nullità parziale del contratto di conto corrente n. –omissis– nonché del contratto di Anticipi fatture e anticipi salvo buon fine ad esso collegati, in relazione alle clausole di pattuizione degli interessi debitori ultra legali, di quelli anatocistici con capitalizzazione trimestrale, delle commissioni di massimo scoperto, dei costi e competenze e remunerazioni a qualsiasi titolo pretese dalla Banca di Anghiari e Stia; – Determinare tutte quelle somme indebitamente percepite ad oggi dalla Banca di Anghiari e Stia Credito Cooperativo s.c. in relazione al contratto di conto corrente n. –omissis–, nonché del contratto di Anticipi fatture e anticipi salvo buon fine ad esso collegati meglio precisate nella perizia di parte nella somma in E 53.940,80 di cui E 7.317,27 ed E 1.937,23 per commissioni di massimo scoperto, salvo quel più o quel meno che verrà ritenuto di giustizia e che comunque verrà ricalcolato in sede di C.T.U. tecnico bancaria e sulla base della documentazione in atti e per l’effetto Rideterminare il saldo del conto corrente conto corrente n. –omissis– nonché del contratto di Anticipi fatture e anticipi salvo buon fine ad esso collegati anche alla luce delle somme già trattenute dalla banca alla debitrice principale e ai fideiussori Ba. An. e Ac. Ge. Per l’ammontare complessivo di E 8.383,22 oltre alle somme trattenute ai fideiussori Ac. An. e Ra. Pi. per l’importo di E 30.475,84 come meglio specificate in premessa;
– Condannare Banca di Anghiari e Stia Credito cooperativo s.c. alla restituzione nei confronti dei fideiussori Ac. Ge. della somma di E 2.122,84 e nei confronti dei fideiussori Ac. An. e Ra. Pi. per l’importo di E 30.475,84 per aver illegittimamente esercitato la compensazione ai sensi dell’art. 1241 c.c. e nella denegata in cui il G.I. ritenga legittima la compensazione operata dall’Istituto di credito, disporre l’imputazione delle predette somme ai fini del ricalcolo del saldo del conto corrente n. –omissis– e relativi contratti collegati. In ogni caso: Con vittoria di spese e compensi professionali del presente giudizio, oltre spese generali, oltre iva e cpa come per legge di cui l’Avv. Katia Coleschi si dichiara sin da ora antistataria”.
Parte convenuta ha contestato la fondatezza delle allegazioni e della domande degli opponenti, chiedendo: “Piaccia all’Ecc.mo Tribunale di Arezzo, contrariis rejectis, in via preliminare e cautelare respingere la istanza di sospensione della provvisoria esecuzione del decreto, la opposizione non essendo basata né su prova scritta né di pronta soluzione né essendo stata utilmente esposta la sussistenza di gravi motivi astrattamente giustificanti la invocata pronuncia ed essendo tutte le contestazioni mosse dall’opponente in ordine alla sussistenza ed entità del credito svolte in modo generico ed inconferente;
nel merito rigettare integralmente l’opposizione e tutte le domande ivi dedotte sia nel rito che nel merito per i motivi in premessa esposti ed anche in particolare per la dedotta eccezione di prescrizione del diritto di parte opponente a richiedere la verifica di asseriti comportamenti illegittimi della banca (presunta violazione dell’art. 1283 del c.c.) e/o la restituzione e/o la riduzione di somme inerenti il periodo 1992-2005, ovvero oltre i dieci anni precedenti la data della notifica della opposizione contenente le richieste avversarie, per conseguentemente confermare il decreto ingiuntivo opposto in ogni sua parte; in subordine condannare l’opponente al pagamento in favore della banca di tutte le somme a questa dovute e che comunque saranno accertate in corso di causa eventualmente anche a mezzo di CTU contabile, giusti i rapporti contrattuali intercorsi e di cui alla documentazione in atti e tenuto conto della spiegata eccezione di prescrizione del diritto di parte opponente a richiedere la verifica di asseriti comportamenti illegittimi della banca (presunta violazione dell’art. 1283 del c.c.) e/o la restituzione e/o la riduzione di somme inerenti il periodo 1992-2005, ovvero oltre i dieci anni precedenti la data della notifica della opposizione contenente le richieste avversarie; Con vittoria di spese e di onorari, oltre spese generali (15%), oltre accessori di legge”.
All’esito della dichiarazione di fallimento di M.D.C. S.n.c. di Ac. Cl. & C. (già Molino di Ca… S.n.c. di Ac. Cl. & C.), Ba. An. ed Acquisti Claudio e della conseguente dichiarazione di interruzione del processo, la causa è stata riassunta da Ac. An., Ra. Pi. e Ac. Ge..
Infine, espletata CTU in ordine ai rapporti bancari oggetto di causa, le parti hanno precisato le rispettive conclusioni richiamandosi formalmente a quelle formalizzate nei rispettivi atti introduttivi.
2) Ciò premesso va quindi anzitutto rilevato, in relazione alle doglianze attoree inerenti l’inattitudine dimostrazione del “saldaconto” ex art. 50 T.U.B. dimesso da parte ingiungente a sostegno della pretesa avanzata in sede monitoria, come tale certificazione ben possa costituire adeguato riscontro documentale ai fini della concessione del decreto ingiuntivo (per previsione della norma medesima). È solamente nel giudizio di opposizione che tale attitudine probatoria viene meno (cfr, sul punto, Cass. 9695 del 3.5.2011), riprendendo vigore gli ordinari criteri in tema di onere della prova (su cui infra).
3) Quanto agli ulteriori profili oggetto di contrasto tra le parti, occorre prendere in considerazione le risultanze emergenti dalla relazione di consulenza tecnica d’ufficio dimessa dal dott. Ma. Ba., condotta sul conto corrente 3367 (ed i conti collegati: conto finanziamento fatture e conto effetti s.b.f., le cui competenze sono state trimestralmente riversate sul conto corrente di corrispondenza) e sul contratto di mutuo chirografario n. –omissis– del 24.12.2013.
Da tale elaborato emerge in primo luogo come la documentazione disponibile agli atti di causa, correlata ai rapporti di conto sopra ricordati, sia stata così (correttamente) descritta dal CTU: “Conto Finanziamento Fatture (di seguito CFF): – risultano sottoscritte le pattuizioni contrattuali per la concessione di credito (cfr. Allegato di cui al rigo 4 della precedente Tabella 1). – in riferimento ai tassi debitori non viene indicato uno specifico tasso entro fido ed oltre fido ma solo un “tasso massimo debitore per anticipo s.b.f.”. Conto Finanziamento Effetti S.b.f. (di seguito CSBF) – risultano sottoscritte le pattuizioni contrattuali per la concessione di credito (cfr. allegati di cui ai righi 3 e 4 della precedente Tabella 1). – in riferimento ai tassi debitori non viene indicato uno specifico tasso entro fido ed oltre fido ma solo un “tasso massimo debitore per anticipo fatture”. Conto Corrente di Corrispondenza (di seguito CCC): – risulta sottoscritta la lettera di apertura di conto corrente; – non è depositato agli atti il contratto di concessione di credito; – non risultano pattuite condizioni contrattuali quali tassi di interesse, commissioni di massimo scoperto, commissioni di affidamento e spese di nessuna natura”.
Il CTU ha quindi proceduto al ricalcolo dei saldi dei rapporti di conto, facendo applicazione dei seguenti criteri (da ritenersi del tutto condivisibili in quanto pienamente aderenti ai criteri delineati nel quesito posto): “a. applicando i tassi di interesse contrattuali solo qualora inferiori ai tassi applicati dalla Banca e, nell’ipotesi di mancata esibizione dei contratti in contestazione, applicando i tassi BOT sia per gli interessi a debito che per gli interessi a credito (Il Giudice ha richiesto espressamente che in caso di mancata esibizione dei contratti, il sottoscritto rideterminasse gli interessi applicando i criteri disposti dall’art. 117, comma 7, lettera a) del T.U.B); b. applicando la Commissione di Ma. Sc. contrattuale o – se inferiore – quella applicata dalla Banca, solo in caso di espressa pattuizione scritta; c. mantenendo gli addebiti operati alla fine di ciascun trimestre delle spese “non finanziarie” ovverosia legate alla semplice tenuta del conto da parte dalla Banca quali, ad esempio: le spese per operazioni, per assegni, di prelevamento, spese di tenuta conto, spese di spedizione, bolli su c/c; d. eliminando, qualora non pattuite contrattualmente, le spese relative all’erogazione del credito addebitate alla fine di ciascun trimestre quali: commissioni sul fido accordato, spese per assenza di disponibilità, penali di scoperto, spese di istruttoria veloce; e. operando la capitalizzazione trimestrale delle competenze nel conto corrente – o in un conto collegato – solo se previsto contrattualmente e, in alternativa, operando la c.d. capitalizzazione semplice”. In assenza di compiuta previsione delle condizioni regolatrici del rapporto, infatti, si impone l’applicazione dei criteri sostitutivi ex art. 117 T.U.B., mentre l’operatività dell’anatocismo non può ritenersi legittima per il periodo anteriore all’entrata in vigore delle previsioni della delibera CICR del febbraio 2000 (dovendosi operare, per l’arco temporale compreso sino a tale momento, unicamente una capitalizzazione di fine periodo). Ciò in aderenza all’ormai consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità sul punto, che ha invece ritenuto valida l’applicazione di computi anatocistici per il periodo successivo all’entrata in vigore di tale delibera (così, per tutte, Cass. SS.UU. 21095 del 4.11.2004, poi seguita dalla giurisprudenza successiva; cfr Cass. 4094 del 25.2.2005; Cass. 10955 del 19.5.2005; Cass. SS.UU. 24418 del 2.12.2010; Cass. ord. 20172 del 3.9.2013; Cass. 15135 del 2.7.2014).
In relazione invece ai contestati profili usurari, si osserva come il CTU abbia riscontrato profili usurari sul conto effetti s.b.f.. Al riguardo lo stesso CTU ha quindi evidenziato le note critiche svolte dal CTP di parte convenuta, secondo cui “Il CT di parte convenuta, Dott. St. Ca., a pagina 2 e 3 delle proprie Osservazioni, non condivide l’impostazione adottata dal CTU circa la verifica dell’usura originaria relativa al CSBF poiché dalla documentazione disponibile negli atti di causa non si rinviene l’importo dell’affidamento al momento della pattuizione delle condizioni. Egli sostiene che, in assenza di documentazione che attesti un affidamento di oltre 10 milioni di lire, il tasso debitore del 10% pattuito il 05.10.1999 sul CSBF dovrebbe essere confrontato con il tasso soglia relativo alla categoria degli “anticipi, sconti commerciali e altri finanziamenti alle imprese effettuati dalle banche” per la classe di importo entro 10 milioni di lire, pari all’11,85%. Di conseguenza, seguendo questa impostazione non verrebbe riscontrato un superamento del tasso soglia neanche per il CSBF”.
A tali rilievi il CTU ha replicato che “Il sottoscritto CTU, nella propria bozza di relazione, ha ritenuto corretto svolgere il test usura sul CSBF confrontando il tasso debitore del 10% pattuito il 05.10.1999 con il tasso soglia al 31.12.1999 relativo alla categoria degli “anticipi, sconti commerciali e altri finanziamenti alle imprese effettuati dalle banche” per la classe di importo oltre i 10 milioni di lire e pari al 9,57%. La convenzione sottoscritta tra le parti il 05.10.1999 stabilisce il tasso di interesse e le condizioni contrattuali valide per anticipo fatture, documenti e cessione crediti, ma nulla dice relativamente all’importo dell’affidamento. Il primo documento utile da cui si può evincere l’importo affidato è l’estratto conto al 31.12.2003 da cui risulta un Fido di conto pari ad E 60.000,00. Il sottoscritto CTU ha pertanto ritenuto assolutamente verosimile considerare sin dall’origine un affidamento di oltre 10 milioni di lire da cui è poi emersa la situazione usuraria. In ogni caso, come anche sottolineato dal CT di parte convenuta, il sottoscritto CTU ha proposto due ipotesi ricostruttive, una che tiene conto della presenza di usura e l’altra che non ne tiene conto. Pertanto, anche qualora il Giudice ritenesse che nello svolgere il Test anti usura sarebbe stato più corretto considerare il tasso soglia relativo alle classi di importo inferiori a 10 milioni di lire (pari all’11,85%) non sarebbero comunque necessari ulteriori ricalcoli e l’ipotesi ricostruttiva da seguire sarebbe quella analizzata nel precedente capitolo 3, in cui non vengono considerati gli effetti di ripristino delle situazioni usurarie”.
Nel contesto di siffatta disparità di opinioni valutative, ritiene il sottoscritto di fare proprie le valutazioni del CTP di parte convenuta, dal momento che l’operazione di riscontro della sussistenza di profili usurari non può fondarsi su basi ipotetiche (come nel caso dell’assunto del CTU volto alla valorizzazione del carattere verosimile della sussistenza di un affidamento di oltre 10 milioni di vecchie lire). L’assenza di pattuizioni e l’insussistenza di ulteriori elementi fattuali in grado di corroborare siffatta deduzione non consente di porre la stessa a fondamento della valutazione concernente la sussistenza o meno di addebiti usurari, sì che, aderendo all’impostazione della convenuta, deve concludersi nel senso della non ravvisabilità di siffatti addebiti in alcuno dei rapporti di conto considerati.
4) L’esito del ricalcolo operato dal CTU, senza considerare gli effetti correlati alla lamentata sussistenza di profili usurari, ha consentito di rideterminare il complessivo saldo passivo dei rapporti di conto predetti previa eliminazione della somma di E 173.108,59 a debito della correntista, con conseguente (nuovo) saldo passivo stimato in E 349.185,65 a debito della correntista (in luogo dell’importo di E 514.986,93 a debito della correntista, indicato dalla banca).
5) Il CTU, peraltro, ha indicato come non siano ravvisabili rimesse solutorie (sì da non risultare alcun importo da assoggettare alla prescrizione eccepita da parte convenuta), anche in conseguenza del fatto di aver proceduto al ricalcolo delle competenze facendo applicazione dei criteri sostitutivi ex art. 117 T.U.B. Parte convenuta ha contestato la decisione del CTU di valutare la sussistenza o meno di rimesse solutorie in base ai saldi rettificati, invocando invece la necessità di avere a riferimento i “saldi-banca” (originari).
Tale assunto, pur se di per sé non privo di una certa suggestività, appare inficiato dalla pura prospettiva economico-finanziaria nel cui contesto risulta maturato e “sconta” una mancata adeguata considerazione dei profili giuridici sottesi alla tematica in esame. Il ricalcolo del saldo, tempo per tempo, deriva dal rilievo di profili di nullità (nel caso di specie, contrattuali), la cui efficacia non può che manifestarsi con riferimento ai momenti in cui si sono prodotti di volta in volta gli effetti dell’operazione (poi) ritenuta nulla. Le conseguenze sul saldo, dunque, devono essere prese in considerazione con riferimento ai singoli momenti di sviluppo del saldo stesso e, pertanto, incidono sull’entità del passivo tempo per tempo verificatosi. In quest’ottica, una rimessa solutoria può (e deve) essere invece ritenuta meramente ripristinatoria (e quindi non ricadente del focus della prescrizione) se ciò è l’effetto del venir meno di addebiti valutati, ad oggi, come illegittimi in quanto operati in forza di una clausola ritenuta nulla (e dunque tali da incidere sull’entità del saldo passivo dell’epoca).
6) Quanto al rapporto di mutuo, il CTU ha in primo luogo evidenziato che “…il piano di ammortamento determinato dalla Banca corrisponde a quanto stabilito contrattualmente tra le parti”, precisando che “Il ricalcolo del piano di ammortamento svolto dal sottoscritto CTU con i criteri testé indicati è contenuto e dettagliato nell’Allegato “F”, e si discosta da quello Bancario di circa E 5,00. Tale scostamento è da considerarsi irrilevante poiché derivante esclusivamente da diversi criteri di arrotondamento”.
Lo stesso CTU ha escluso la ravvisabilità di addebiti usurari, rinvenendo un tasso di interesse complessivo pari al 7,20% a fronte di tasso soglia pari al 10,38%.
Né possono ritenersi fondate le censure mosse da parte attrice in ordine alla mancata valutazione, in tale contesto, della penale per l’estinzione anticipata e degli interessi moratori.
In proposito deve in primo luogo osservarsi come la giurisprudenza di legittimità sia attualmente orientata nel senso che “E` avviso di queste Sezioni Unite che debba darsi continuità al primo dei due orientamenti giurisprudenziali sopra richiamati, che nega la configurabilità dell’usura sopravvenuta, essendo il giudice vincolato all’interpretazione autentica degli artt. 644 cod. pen. e 1815, secondo comma, cod. civ., come modificati dalla legge n. 108 del 1996 (rispettivamente all’art. 1 e all’art. 4), imposta dall’art. 1, comma 1, d.l. n. 394 del 2000, cit.; interpretazione della quale la Corte costituzionale ha escluso la sospetta illegittimità, per violazione degli artt. 3,24,47 e 77 Cost., con la sentenza 25/02/2002, n. 29, e della quale non può negarsi la rilevanza per la soluzione della questione in esame. È priva di fondamento, infatti, la tesi della illiceità della pretesa del pagamento di interessi a un tasso che, pur non essendo superiore, alla data della pattuizione (con il contratto o con patti successivi), alla soglia dell’usura definita con il procedimento previsto dalla legge n. 108, superi tuttavia tale soglia al momento della maturazione o del pagamento degli interessi stessi” (così Cass. SS.UU. n. 24675 del 19.10.2017).
L’usura si presenta dunque suscettibile di venire in rilievo esclusivamente con riferimento alle pattuizioni originarie, ed al momento delle stesse.
In relazione specifica al profilo concernente la rilevanza degli interessi moratori al fine della valutazione concernente l’usurarietà degli interessi applicati si osserva come lo stesso risulti oggetto di particolari contrasti giurisprudenziali, sussistendo in effetti peculiari asperità interpretative in ordine all’individuazione compiuta delle modalità di valutazione del contesto (anche logico – giuridico, prima ancora che matematico finanziario) in cui sussumere la rilevanza del tasso degli interessi moratori. Ciò che deriva, anche, dalla – sopra ricordata – attuale conformazione dell’orientamento della giurisprudenza di legittimità volto a valorizzare unicamente l’usura c.d. originaria (ovvero quella suscettibile di essere ravvisata al momento della stipula del contratto). La concentrazione del focus di analisi unicamente sul momento della pattuizione, in effetti, comporta la valorizzazione di un contesto cronologico in cui, per definizione, non possono essere maturati interessi moratori, né consta se tali interessi potranno o meno mai maturare, configurandosi come meramente eventuali. Vieppiù tale conformazione determina perplessità in ordine agli effetti che la ritenuta usurarietà del tasso degli interessi moratori possa produrre sulla legittimità dell’interesse corrispettivi (e della loro debenza).In questo senso si ricorda, intendendo procedere ad una ricostruzione storica, come secondo un primo indirizzo (cfr. Trib. Cremona 9.1.2015; Trib. Milano 29.1.2015;
Trib. Roma 7.5.2015; Trib. Rimini 6.2.2015; Trib. Vibo Valentia; Trib. Brescia 24.11.2014; Trib. Salerno 27.7.1998; Trib. Macerata 1.6.1999; Trib. Napoli 5.5.2000; Trib. Treviso 12.11.2015; Cass. Pen. 5689/2012), ad escludere l’assoggettamento degli interessi di mora alla normativa antiusura concorrerebbero:
- a) il rilievo che gli artt. 1815, comma 2, c.c., e 644, comma 1, c.p., si riferiscono, rispettivamente, agli interessi “convenuti” e “in corrispettivo”, dunque valorizzando la fase fisiologica del rapporto (Trib. Verona 12.9.2015);
- b) la circostanza che le Istruzioni della Banca d’Italia per il calcolo del tasso effettivo globale medio (TEGM) non contemplano gli interessi di mora (c.d. principio di omogeneità di confronto): la L. 108/1996 esige, infatti, la rilevazione comparata di “operazioni della stessa natura” (sì che constatazione della mancanza di un tasso soglia ad hoc degli interessi moratori ha indotto parte della giurisprudenza di merito ad escludere la loro assoggettabilità alla disciplina sull’usura: Trib. Varese 26.4.2016 e Trib. Milano 28.4.2016);
- c) la diversa funzione degli interessi moratori – comunque eventuali – aventi natura risarcitoria/sanzionatoria, alternativa rispetto agli interessi corrispettivi, aventi invece natura remunerativa: sul punto si è osservato che “gli interessi moratori non remunerano affatto il creditore dell’erogazione del credito, ma lo ristorano per il protrarsi della perdita della disponibilità di somme di denaro che egli non ha accettato, ma che subisce per effetto dell’inadempimento del debitore e per un periodo di tempo non prevedibile” (Trib. Treviso 12.11.2015);
- d) la circostanza che il c.d. TAEG “comunitario” (cfr. Direttiva 2008/48/CE e Direttiva 2014/17/UE, entrambe recepite dal nostro ordinamento) non contempla gli interessi moratori (credito ai consumatori).
Un secondo indirizzo giurisprudenziale, invece, include gli interessi moratori nelle soglie d’usura (per tutti Cass. nn. 4251/1992, 5286/2000, 14899/2000, 5324/2003, 350/2013, 602/2013, 603/2013 nonché Corte Cost. n. 29/2002, secondo cui è “plausibile l’assunto” che gli interessi di mora siano assoggettati al tasso-soglia). Il principale argomento posto a sostegno di questo indirizzo è l’affermata esistenza di un principio di omogeneità di trattamento degli interessi, pur nella diversità di funzione.
Ulteriori argomenti a favore di questo orientamento sono:
- a) il fatto che la L. 28.2.2001, n. 24, di interpretazione autentica della L. 108/1996, testualmente disciplina gli “interessi…promessi o convenuti, a qualunque titolo”, quindi anche gli interessi moratori (deponendo in tal senso anche la Relazione governativa al d.l. 394/2000);
- b) la previsione dell’art. 644 c.p., laddove è fatto riferimento al “limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari” senza operare distinzioni tra tipologie di interessi;
- c) i rischi di un’utilizzazione strumentale degli interessi moratori, se sottratti alla disciplina antiusura;
- d) l’irrazionalità di sanzionare i vantaggi usurari nella fase fisiologica del rapporto e non in quella patologica (mora).
Il secondo degli indirizzi sopra descritti risulta allo stato quello maggiormente recepito a livello di giurisprudenza di legittimità e, in tale ottica, ritiene lo scrivente di darvi adesione.
Deve in particolare ricordarsi come tale conclusione trovi fondamento alla stregua dell’impostazione ricostruttiva già fatta propria dalla Suprema Corte e secondo cui “ai fini dell’applicazione dell’art. 644 c.p., e dell’art. 1815 c.c., comma 2, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, quindi anche a titolo di interessi moratori (Corte cost. 25 febbraio 2002 n. 29: “il riferimento, contenuto nel D.L. n. 394 del 2000, art. 1, comma 1, agli interessi a qualunque titolo convenuti rende plausibile – senza necessità di specifica motivazione – l’assunto, del resto fatto proprio anche dal giudice di legittimità, secondo cui il tasso soglia riguarderebbe anche gli interessi moratori”; Cass., n. 5324/2003)” (così Cass. 350 del 9.1.2013, in motivazione).
Quanto poi agli effetti derivanti dall’inclusione degli interessi di mora nell’alveo applicativo dell’usura, anche in questo caso si rileva un duplice orientamento della giurisprudenza, da un lato volto a considerare unitariamente gli interessi moratori e quelli corrispettivi e, dall’altro, teso a circoscrivere gli effetti dell’usura (eventualmente riscontrata) a ciascuna categoria di interessi. Alla stregua del primo orientamento, l’art. 1815, comma 2, c.c. esprimerebbe un principio giuridico valido per tutte le obbligazioni pecuniarie, che prevede la conversione forzosa del mutuo usurario in mutuo gratuito, in ossequio all’esigenza di maggior tutela del debitore e ad una visione unitaria della fattispecie, connotata dall’abbandono del presupposto soggettivo dello stato di bisogno del debitore, a favore del limite oggettivo della soglia di cui alla l. 108/1996 (in tal senso App. Venezia 18.2.2013; Trib. Padova 13.5.2014; Trib. Udine 26.9.2014; Trib. Pavia 10.12.2014; Trib. Torino 20.6.2015 e 27.4.2016; Trib. Rovereto 30.6.2015; Trib. Massa 23.3.2016).
Le conseguenze di tale approccio interpretativo implicano che, nel caso di superamento del tasso soglia d’usura, nessuna somma sia dovuta a titolo di interessi, di talché il mutuatario dovrebbe rimborsare solo la somma capitale ed invece ottenere la restituzione di tutte le somme indebitamente pagate a titolo di interessi, sia corrispettivi che moratori.
Il secondo orientamento è invece attestato sulla diversa impostazione secondo cui ove il tasso di mora risulti pattuito in termini da superare il tasso-soglia rilevato all’epoca della stipulazione del contratto, insorgerebbe la nullità della sola pattuizione del tasso di mora, ex art. 1815, comma 2, c.c.. Da ciò deriverebbe che, in caso di ritardo o inadempimento, non potrebbero essere richiesti gli interessi di mora, essendo unicamente dovuti i soli interessi corrispettivi (ove pattuiti nel rispetto del tasso-soglia) (in tal senso Trib. Milano 28.1.2014, 22.5.2014 e 8.3.2016; Trib. Lecce 25.9.2015; Trib. Reggio Emilia 25.2.2015; Trib. Chieti 23.4.2015; Trib. Trani 10.3.2014; Trib. Napoli 28.1.2014 e 15.9.2014; Trib. Venezia 15.10.2014; Trib. Pescara 30.4.2015; Trib. Taranto 17.10.2014; Trib. Treviso 12.11.2015; Trib. Ferrara 16.12.2015; Trib. Bologna 24.2.2016; Trib. Ivrea 26.2.2016; Trib. Padova 27.4.2016; Trib. Napoli 20.6.2016; Trib. Agrigento 20.6.2016).
La giurisprudenza di legittimità appare da ultimo estremamente oscillante, con emissione di provvedimenti dal contenuto diametralmente opposto resi a breve distanza di tempo.
Così, esemplificativamente, Cass. n. 21470 del 15.9.2017 ha ritenuto che “É certo, peraltro, che il superamento del tasso soglia con riferimento all’extra fido non incida sulla spettanza degli interessi convenuti contrattualmente anche per gli utilizzi che si collochino entro i limiti dell’accordato”, così valorizzando non solo la distinzione tra interessi moratori e corrispettivi, ma anche quella tra interessi intra fido ed extra fido. Sul punto la Corte ha espressamente indicato che “La sanzione dell’art. 1815, comma 2, c.c., dunque, non può che colpire la singola pattuizione che programmi la corresponsione di interessi usurari, non investendo le ulteriori disposizioni che, anche all’interno della medesima clausola, prevedano l’applicazione di interessi che usurari non siano. Se così non fosse, la norma non potrebbe trovare pratica applicazione tutte quelle volte in cui – per effetto della differenziazione dei tassi applicabili in ragione di diverse condizioni (come, appunto, l’entità dell’indebitamento del correntista) – nella clausola che disciplina la misura degli interessi contrattuali convivano una disposizione che fissi gli stessi al di sopra della soglia usuraria ed altra che la determini in una misura inferiore: in tal caso, infatti, la medesima clausola avrebbe ad oggetto la pattuizione dell’interesse usurario (che varrebbe a renderla nulla) e la pattuizione dell’interesse non usurario (che dovrebbe di contro sottrarla all’effetto invalidante).”.
Invece, Cass. n. 23192 del 4.10.2017 ha ritenuto che “…come ha già avuto modo di statuire la giurisprudenza di legittimità “è noto che in tema di contratto di mutuo, l’art. 1 della I. n. 108 del 1996, che prevede la fissazione di un tasso soglia al di la` del quale gli interessi pattuiti debbono essere considerati usurari, riguarda sia gli interessi corrispettivi che quelli moratori (Cass. 4 aprile 2003, n. 5324). Ha errato, allora, il tribunale nel ritenere in maniera apodittica che il tasso di soglia non fosse stato superato nella fattispecie concreta, solo perché non sarebbe consentito cumulare gli interessi corrispettivi a quelli moratori al fine di accertare il superamento del detto tasso” (Cass. ord. 5598/2017; con principio già affermato da Cass. 14899/2000).”.
In tale ambiguo quadro di riferimento interpretativo ritiene lo scrivente di aderire al secondo degli orientamenti sopra descritti, teso a circoscrivere a ciascuna categoria di interessi gli effetti derivanti dalla constata insorgenza di profili usurari in riferimento agli interessi corrispettivi o agli interessi moratori, condividendosi sul punto le valutazioni espresse da ultimo da Cass. 21470 del 15.9.2017.
Non appare del resto condivisibile l’approccio ricostruttivo giurisprudenziale secondo cui l’indifferenziata considerazione, ai fini che qui rilevano, degli interessi moratori e degli interessi corrispettivi sarebbe imposta dalla lettera dell’art. 1815 c.c.. Va infatti evidenziato come l’art. 1815 c.c. non consenta (né, tantomeno, imponga)l’assimilazione delle due categorie di interessi (contraddistinti peraltro da struttura e funzioni radicalmente diverse). Tale norma risulta del resto fare esclusivo riferimento – al 2° comma – alla nullità della clausola (utilizzando peraltro l’espressione al singolare: “Se sono convenuti interessi usurari la clausola è nulla e non sono dovuti interessi”) che contempli interessi usurari e non a tutte le clausole che contemplino interessi di sorta nell’ambito di una determinata pattuizione contrattuale. Né, in tale prospettiva, potrebbe esplicare efficacia di sorta il fatto che l’interesse moratorio sia determinato facendo riferimento all’interesse corrispettivo maggiorato di una determinata percentuale, giacché ciò degrada il riferimento alla misura degli interessi corrispettivi a mera entità numerica (considerata dunque per la sua attitudine ad esprimere una grandezza) e non comporta alcun riferimento, in sé e per sé, alla funzione svolta dagli interessi corrispettivi.
Risulta dunque maggiormente condivisibile il menzionato orientamento della giurisprudenza di merito secondo il quale, ove il tasso di mora risulti determinato in misura tale da superare il tasso-soglia rilevato all’epoca della stipulazione del contratto, la pattuizione del tasso di mora sia nulla, ex art. 1815, comma 2, c.c., con esclusivo riferimento agli interessi moratori. Di conseguenza, in siffatta ipotesi (all’esito, cioè, di inadempimento o ritardo idoneo a determinare l’applicazione degli interessi moratori), non potranno essere applicati gli interessi di mora, mentre saranno normalmente dovuti gli interessi corrispettivi.
In tale ottica argomentativa preme anche evidenziare come l’art. 644 c.p. si riferisca in modo espresso a interessi o altri vantaggi usurari “in corrispettivo” di una prestazione di denaro o altra utilità, così come l’art. 1815 c.c. prende in considerazione gli “interessi che il mutuatario deve corrispondere al mutuante”, evidenziando in tal modo l’attenzione del legislatore focalizzata sugli interessi aventi natura corrispettiva. Se pur deve ritenersi che anche gli interessi moratori rientrino nell’alveo applicativo della normativa in tema di usura (nei termini sopra indicati), nondimeno la differenza natura e funzione di interessi corrispettivi e interessi moratori, la loro applicabilità in contesti (e con presupposti) differenziati, porta a concludere che tali distinte tipologie di interessi debbano rispettare, ciascuna, il tasso soglia.
In tale contesto, la violazione del tasso soglia da parte dell’una o dell’altra categoria di interessi comporterà la non debenza esclusivamente di tale categoria: se, dunque, l’usurarietà è ravvisabile in riferimento ai soli interessi moratori, la sanzione ex art. 1815, 2° comma, c.c. deve essere applicata unicamente a tale categoria di interessi.
Tale conclusione appare suffragata anche dal più recente orientamento della giurisprudenza di legittimità, laddove si è affermato che “è nullo il patto col quale si convengano interessi convenzionali moratori che, alla data della stipula, eccedano il tasso soglia di cui all’art. 2 della I. 7.3.1996 n. 108, relativo al tipo di operazione cui accede il patto di interessi moratori convenzionali” (così Cass. 27442 del 30.10.2018, in motivazione). Con ciò in effetti evidenziandosi come la prospettiva di analisi debba rimanere ancorata ad una valutazione autonoma delle clausole contemplanti le varie categorie di interessi, con conseguenze circoscritte (in caso di ritenuto superamento del tasso soglia) a ciascuna di tali categorie (nel medesimo senso, da ultimo, Cass. 26286 del 17.10.2019, su cui infra).
Nel contesto dell’approccio interpretativo ora menzionato, peraltro, la Suprema Corte ha anche fornito indicazioni in ordine alle precipue modalità di valutazione del rapporto tra interessi moratori ed usura. In particolare si è ritenuto che “…il riscontro dell’usurarietà degli interessi convenzionali moratori va compiuto confrontando puramente e semplicemente il saggio degli interessi pattuito nel contratto col tasso soglia calcolato con riferimento a quel tipo di contratto, senza alcuna maggiorazione od incremento: è infatti impossibile, in assenza di qualsiasi norma di legge in tal senso, pretendere che l’usurarietà degli interessi moratori vada accertata in base non al saggio rilevato ai sensi dell’art. 2 I. 108/96, ma in base ad un fantomatico tasso talora definito nella prassi di “mora-soglia”, ottenuto incrementando arbitrariamente di qualche punto percentuale il tasso soglia.” (così la citata Cass. 27442 del 30.10.2018).
Il profilo, apparentemente definito sulla scorta degli assunti interpretativi da ultimo menzionati, risulta peraltro aver avuto ulteriore impulso dialettico ad opera delle più recenti posizioni assunte dalla giurisprudenza di legittimità.
Tornando nuovamente ad affrontare il profilo in questione, la Suprema Corte ha infatti argomentato che “Nei rapporti bancari anche gli interessi convenzionali di mora, al pari di quelli corrispettivi, sono soggetti all’applicazione della normativa antiusura, con la conseguenza che, laddove la loro misura oltrepassi il c.d. “tasso soglia” previsto dall’art. 2 della legge 7 marzo 1996, n. 108, si configura la cosiddetta usura c.d. “oggettiva” che determina la nullità della clausola ai sensi dell’art. 1815, secondo comma, cod. civ.. Non è di ostacolo la circostanza che le istruzioni della Banca d’Italia non prevedano l’inclusione degli interessi di mora nella rilevazione del T.E.G.M. (tasso effettivo globale medio), che costituisce la base sulla quale determinare il “tasso soglia”.
Infatti, poiché la Banca d’Italia provvede comunque alla rilevazione della media dei tassi convenzionali di mora (solitamente costituiti da alcuni punti percentuali da aggiungere al tasso corrispettivo), è possibile individuare il “tasso soglia di mora” del semestre di riferimento, applicando a tale valore la maggiorazione prevista dall’art. 2, comma 4, della legge n. 108 del 1996. Tuttavia, resta fermo che, dovendosi procedere ad una valutazione unitaria del saggio di interessi concretamente applicato – senza poter più distinguere, una volta che il cliente è stato costituito in mora, la “parte” corrispettiva da quella moratoria, al fine di stabilire la misura oltre la quale si configura l’usura oggettiva, il “tasso soglia di mora” deve essere sommato al “tasso soglia” ordinario (analogamente a quanto previsto dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 16303 del 2018, in tema di commissione di massimo scoperto”)” (così la ricordata Cass. 26286 del 17.10.2019).
Nella ricostruzione offerta dalla Suprema Corte viene così ad essere delineata una modalità di verifica dell’usura da parte degli interessi moratori basata sull’enucleazione di un “tasso soglia di mora” ottenuto ricorrendo alla maggiorazione media di mora rilevata dalla Banca d’Italia (pari al 2,1%) da aggiungere al “tasso soglia ordinario”.
Tale approccio interpretativo si pone dunque in radicale contrasto con quello precedentemente illustrato (e fatto proprio da Cass. 27442 del 30.10.2018) secondo cui il confronto rilevante ai fini della verifica dell’usura dovrebbe eseguirsi “confrontando puramente e semplicemente il saggio degli interessi pattuito nel contratto col tasso soglia calcolato con riferimento a quel tipo di contratto, senza alcuna maggiorazione od incremento”, facendo invece in effetti ricorso proprio al concetto di “tasso soglia di mora” che la stessa pronuncia del 2018 aveva stigmatizzato come “fantomatico”.
In tale non lineare ambito interpretativo deve infine osservarsi come la Suprema Corte (in diversa composizione: ord. 26946 del 22.10.2019 – e quindi di soli quattro giorni successiva alla pronuncia n. 26286 -) abbia ritenuto che le questioni interpretative sorte con riferimento (anche) alla valutazione del ruolo degli interessi moratori ai fini dell’usura si presentino di massima rilevanza e siano attualmente oggetto di contrasto tra le sezioni della Corte di Cassazione, e che tali questioni “sollecitano un ulteriore approfondimento della questione riguardante la riferibilità della disciplina antiusura anche agl’interessi moratori, dovendosi in particolare valutare, anche alla stregua del tenore letterale dell’art. 644 cod. pen. e dell’art. 2 della legge n. 108 del 1996 e delle indicazioni emergenti dai lavori preparatori di quest’ultima legge, nonché delle critiche mosse alla soluzione affermativa, se l’evidenziato principio di simmetria consenta o meno di escludere l’assoggettamento degl’interessi di mora alla predetta disciplina, in quanto non costituenti oggetto di rilevazione ai fini della determinazione del tasso effettivo globale medio; qualora si opti per la soluzione contraria, occorre poi stabilire se, ai fini della verifica in ordine al carattere usurario degl’interessi, sia sufficiente la comparazione con il tasso soglia determinato in base alla rilevazione del tasso effettivo globale medio di cui al comma primo dell’art. 2 cit., o se, viceversa, la mera rilevazione del relativo tasso medio, sia pure a fini dichiaratamente conoscitivi, imponga di verificarne l’avvenuto superamento nel caso concreto, e con quali modalità debba aver luogo tale riscontro, alla luce della segnalata irregolarità nella rilevazione”, così rimettendo alle Sezioni Unite la questione concernente rilevanza (e modalità di valutazione) degli interessi moratori ai fini della sussistenza dell’usura.
È dunque con riferimento a tale – tutt’altro che cristallino – quadro di riferimento interpretativo che deve essere valutata la questione in esame e, alla stregua di quanto sin qui esposto, ritiene lo scrivente di aderire all’impostazione ricostruttiva fatta propria dall’ultimo degli orientamenti sopra menzionati (delineato da Cass. 26286 del 17.10.2019).
La valutazione della rilevanza usuraria degli interessi moratori, dunque, deve essere effettuata mediante individuazione del tasso soglia di mora, ottenuto tramite maggiorazione del tasso soglia ordinario di 2,1 punti percentuali.
Ritiene infatti lo scrivente, al netto dell’effettiva complessità della materia ed allo stato attuale della giurisprudenza (in attesa cioè di un intervento chiarificatore delle Sezioni Unite), che non possa essere tout court obliterato il problema dell’omogeneità dei criteri di valutazione (come invece effettuato da Cass. 27442 del 30.10.2018), rilevando come appaia connotato da un deficit di plausibilità un criterio procedurale improntato ad un – mero – confronto diretto degli interessi moratori con il tasso – soglia, di per sconsiderato, in quanto quest’ultimo viene calcolato in forza di un TEGM che non considera detti interessi ma solo quelli corrispettivi. Il confronto risulterebbe quindi avvenire tra valori disomogenei e rappresenterebbe pertanto un’operazione non del tutto attendibile. Ritiene così lo scrivente che il profilo in questione possa e debba essere superato proprio ricorrendo ad una valutazione perequativa imperniata sulla maggiorazione valorizzata da ultimo nella ricordata pronuncia della Suprema Corte 26286/2019.
Dunque, in tale prospettiva, una volta preso atto che il tasso degli interessi moratori è stato determinato in sede contrattuale mediante maggiorazione di due punti percentuali rispetto al tasso degli interessi corrispettivi (pari al 6,50%) ne consegue come il tasso degli interessi moratori (8,50%) sia comunque inferiore al tasso soglia vigente nel periodo considerato, vieppiù ove aumentato della maggiorazione dei 2,1 punti percentuali valorizzata dall’orientamento qui ritenuto preferibile. Conclusione che non subisce mutamenti neppure laddove si intenda prendere a riferimento per la base di applicazione dell’aumento contrattualmente previsto, in luogo del tasso degli interessi corrispettivi, quello complessivo del contratto determinato dal CTU (sopra ricordato) atteso che anche in questo caso il risultato si attesta in misura inferiore al tasso soglia (senza neppure l’aumento con la maggiorazione più volte ricordata).
Né, infine, appaiono in grado di condurre a diversa conclusione le argomentazioni attoree improntate alla valorizzazione della penale per l’estinzione anticipata del mutuo in questione (quale elemento di costo da prendere in considerazione, già al momento della pattuizione, al fine della verifica del superamento o meno del tasso soglia).
Sostenere, infatti, che il tasso soglia ex L. 108/1996 sarebbe superato per effetto dell’inclusione nel TEG dell’incidenza percentuale della penale per l’estinzione anticipata del mutuo, implicherebbe la valorizzazione di un tasso formato da voci completamente eterogenee (sia per natura che funzione), quali gli interessi corrispettivi e la penale. Non può trascurarsi, in effetti, che gli interessi corrispettivi attengono alla fase “fisiologica” del finanziamento, avendo la funzione basilare di fornire la remunerazione all’istituto di credito e connotandosi per un’applicazione certa e predefinita. Al contrario, la penale per l’estinzione anticipata del mutuo va ad integrare un elemento del tutto accidentale, di ignota e non necessaria occorrenza, con una sostanziale funzione di indennizzo dei costi collegati al rimborso anticipato del credito, collegata ad un’opzione facoltativa del mutuatario. Se del caso, in limine, l’incidenza di una siffatta clausola potrebbe unicamente essere valutata nell’ipotesi di effettivo esercizio della stessa, anche al fine di ancorare ad un parametro cronologico certo gli effetti economici derivanti da tale esercizio.
In mancanza di ciò, in effetti, appare arbitraria l’individuazione di un qualsivoglia marcatore temporale cui agganciare le (ipotetiche) conseguenze dell’esercizio della facoltà di estinzione anticipata: un giorno dopo la stipula del contratto? Il giorno prima della fine del rapporto? La metà della durata dello stesso? Del resto, dal momento che la determinazione dell’importo della penale è parametrata all’entità del capitale residuo, la selezione del momento cui fissare gli effetti dell’esercizio della facoltà di recesso risulta di particolare rilievo, essendo di massima entità nella fase iniziale del rapporto e perdendo progressivamente di importanza con il ridursi del capitale residuo dovuto.
All’evidenza, peraltro, siffatto criterio implica necessariamente la valorizzazione di un referente cronologico ancorato non più al momento della stipula del contratto ma al suo sviluppo, ciò che pone l’elemento considerato (id est, la penale per l’estinzione anticipata) al di fuori dei profili che contraddistinguono l’usura c.d. “originaria” (l’unica invece, come detto, ormai suscettibile di venire in rilievo).
7) Le censure attoree in punto di usura non possono quindi trovare accoglimento.
Così come non possono trovare accoglimento le contestazioni mosse da parte attrice in ordine alla possibilità, per la banca, di procedere alla risoluzione del contratto. Non risulta infatti necessario, a tal fine, il mancato pagamento di sette ratei di rimborso (come argomentato dagli opponenti), dal momento che nel caso di specie si è in presenza di un mutuo chirografario (e non fondiario) e che nel contratto la possibilità di dare corso alla risoluzione è espressamente ancorata al mancato pagamento anche di una sola rata.
8) Il riscontro della non debenza di una parte ingente degli importi richiesti in sede monitoria comporta la revoca del decreto ingiuntivo opposto, con emissione di sentenza di condanna degli opponenti all’importo accertato in corso di causa.
A quest’ultimo proposito, peraltro, occorre evidenziare come gli opponenti, sin dall’atto di citazione introduttivo del giudizio, abbiano lamentato l’incameramento di importi da parte dell’istituto di credito, di cui quest’ultimo si assume che non abbia tenuto conto in sede di determinazione del quantum dovuto dagli ingiunti (per E 4.669,38). In sede di prima memoria dimessa ex art. 183, VI° comma, c.p.c. gli odierni (residui) attori opponenti hanno quindi anche lamentato che “il giorno dopo la notifica dell’atto di citazione in opposizione, avvenuta il 13.07.2015, la banca opposta con raccomandata del 14.07.2015 All. A) ha comunicato ai fideiussori Ac. An. e Ra. Pi., odierni opponenti di aver “realizzato la garanzia procedendo alla vendita dei seguenti titoli (…..)”. In sostanza la banca, senza autorizzazione, ha venduto i titoli posseduti dai fideiussori ed incamerato le somme per l’importo di E 30.475,84, ponendo in essere un illegittimo comportamento, considerato che la compensazione legale non poteva operare soprattutto in assenza di un valido titolo esecutivo. Oltre a questo controparte si è guardata bene dal riferire nell’atto costitutivo di aver “incamerato” ben E 38.383, che tra le altre cose non è dato sapere che destinazione abbiano avuto le predette somme”.
La circostanza non è stata, in sé e per sé, contestata da parte convenuta opposta, la quale si è limitata ad addurre che “questa difesa dichiara espressamente di non accettare il contraddittorio su eccezioni e/o domande nuove come quelle inerenti presunte illecite compensazioni che la banca avrebbe operato con la consequenziale richiesta di detrazione di somme dal saldo risultante dalla CTU” (così in memoria conclusionale di replica, ove la questione risulta affrontata per la prima volta).
Di conseguenza, dagli importi dovuti all’odierna convenuta devono essere sottratti anche quelli ora indicati, per complessivi E 38.383,00. Di conseguenza, gli odierni attori opponenti in riassunzione devono essere condannati, in solido tra loro, a versare a parte convenuta il complessivo importo di E 305.713,92 (E 517.205,51 – E 173.108,59 – E 38.383,00) oltre ad interessi al tasso di legge dalla domanda al saldo effettivo.
9) Infine, per quanto concerne la decisione in ordine alla ripartizione del carico delle spese di lite, ritiene lo scrivente che il tenore delle valutazioni di volta in volta sopra descritte, la particolare complessità della materia, la sussistenza di un perdurante debito di particolare entità a carico degli opponenti, ma comunque grandemente inferiore all’importo richiesto in sede monitoria, vadano a rappresentare una cospicua congerie di elementi che, nel loro complesso, inducono a ravvisare la sussistenza di presupposti per l’integrale compensazione delle spese di lite. Le spese di CTU devono invece essere poste a carico degli attori e di parte convenuta, al 50% ciascuno, con obbligo di procedere ai relativi conguagli in dipendenza delle concrete modalità con cui si è proceduto al pagamento delle spettanze del CTU.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulla causa in epigrafe, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa:
1) in accoglimento dell’opposizione in esame revoca il decreto ingiuntivo n. 723/2015 emesso dal Tribunale di Arezzo in data 27.5.2015;
2) in parziale accoglimento della domanda di pagamento avanzata da parte convenuta Banca di Anghiari e Stia Credito Cooperativo s.c. condanna Ac. An., Ra. Pi. e Ac. Ge., in solido tra loro, a versare alla predetta convenuta Banca di Anghiari e Stia Credito Cooperativo s.c. l’importo di E 305.713,92 da maggiorare degli interessi al tasso di legge dalla domanda al saldo effettivo;
3) dichiara integralmente compensate tra le parti le spese di lite;
4) pone a carico di parte attrice in riassunzione e parte convenuta le spese di CTU, come liquidate in corso di causa, disponendo che tali parti procedano ai pagamenti e conguagli derivanti dalle concrete modalità con cui si è proceduto al pagamento delle spettanze del CTU.
Arezzo, 3.1.2020
Depositata in Cancelleria il 03/01/2020