Corte appello Milano sez. I, 17/10/2019, n.4188
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza n. 420/2017 in data 27.06.2017, il Tribunale di Lodi respingeva le domande proposte da SOCIETÀ S.r.l. contro BANCA S.p.A., con condanna accessoria alla rifusione delle spese di lite, comprese quelle di CTU.
L’attrice aveva dedotto di aver contratto, nel 2008, un rapporto bancario con la BANCA, mediante sottoscrizione di contratto interest rate swap over the counter denominato “Tasso Fisso”, per la gestione del rischio di tasso di interesse, riferito all’esposizione debitoria della società, in relazione ad un contratto di leasing immobiliare.
Successivamente, in data 16.9.2008, la Banca chiudeva il primo contratto in derivati e sottoponeva a SOCIETÀ un nuovo contratto di interest rate swap over the counter denominato anch’esso “Tasso Fisso” (anche “Tasso Fisso 2”), con le medesime finalità.
L’esecuzione del contratto “Tasso Fisso 2” determinava flussi di pagamento unidirezionali a favore della Banca.
Atteso il rilievo, da successivo esame della documentazione bancaria, di irregolarità, sia nella fase di stipula, sia nella fase di esecuzione del rapporto bancario, previo fallimento del tentativo di mediazione ex D. Lgs 28/2010, SOCIETÀ adiva il Tribunale, domandando la ripetizione di quanto pagato alla Banca, in ragione dei contratti derivati sottoscritti, oltre ad una somma a titolo di risarcimento del danno, per la mancata disponibilità della somma investita e il ricalcolo del saldo debitore del conto corrente.
Sulla resistenza della Banca convenuta, regolarmente costituitasi, il Giudice di primo grado disponeva CTU tecnica, relativa alla natura e alle caratteristiche dell’operazione bancaria intercorsa tra le parti, con successiva integrazione in esito alle osservazioni di parte attrice.
All’esito del rigetto di prime cure, proponeva appello SOCIETÀ S.r.l. (nel frattempo posta in Liquidazione), al fine di ottenere l’accoglimento delle domande svolte; si costituiva l’appellata BANCA S.p.A., chiedendo il rigetto dell’impugnazione.
La causa perviene ora in decisione, all’esito delle conclusioni, precisate dalle parti all’udienza del 27/02/2019.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Nullità del contratto quadro e dei contratti derivati Tasso Fisso e Tasso Fisso 2
Parte appellante si duole, innanzitutto, che il Giudice di prime cure non abbia correttamente valutato la domanda di nullità del contratto quadro, il che produrrebbe analogo effetto sui contratti in derivati Tasso Fisso e Tasso Fisso 2, stipulati in esecuzione dello stesso.
Sul punto, l’impugnata sentenza afferma che “…ove anche per ipotesi si volesse ritenere la clausola citata dall’attrice come clausola di rinvio agli usi, dalla disposizione dell’art. 23, comma 2, cit. si ricava chiaramente la previsione di una nullità parziale, che non può di certo inficiare la validità dell’intero contratto quadro come richiesto da parte attrice, né, di conseguenza, può inficiare la validità dei due contratti derivati del 20.02.2008 e del 16.09.2008” (pag. 5).
Atteso che il contratto di intermediazione finanziaria ex art. 23 TUF è inquadrabile, in senso ampio, nella figura del mandato ex art. 1709 c.c., la non corretta, o non esatta, esecuzione dell’incarico ricevuto dal mandante non dà luogo, di per sé sola, alla nullità dell’incarico ricevuto, ma ad una responsabilità risarcitoria, nella misura in cui gli affari assunti in gestione non rispondano agli interessi del mandante stesso.
Occorre, pertanto, esaminare gli atti eseguiti secondo il contratto quadro, di per sé valido ed efficace, come correttamente sin qui affermato in sentenza.
Prosegue quindi l’appellante, sostenendo che la mancanza di accordo delle parti ex art. 1325 c.c. sul margine di intermediazione invaliderebbe i contratti in derivati, argomento anche questo ritenuto erroneamente travisato in prime cure.
Sostiene SOCIETÀ che il margine di intermediazione costituisca il compenso, di per sé legittimo, che la Banca richiede al cliente, per la sottoscrizione del derivato. Tale importo è costituito, da un lato, dalle condizioni più favorevoli che la stessa ottiene sul mercato per concludere il contratto di segno contrario, e, dall’altro, dalla copertura del rischio di credito e dei costi operativi.
La censura, quindi, si appunta sulla idoneità dei contratti a fornire al cliente gli strumenti necessari per determinare il margine di intermediazione, cosa che l’appellante nega sia avvenuto per entrambi i contratti.
Tale circostanza si rifletterebbe anche sull’ulteriore profilo dell’alea contrattuale, in quanto mancherebbe anche l’accordo delle parti sulla ‘misura’ del rischio da scambiare, con conseguente ulteriore motivo di nullità dei contratti derivati.
Il Tribunale, sul punto, ha affermato che “Il contratto derivato ha quindi ad oggetto il differenziale prodotto, secondo le regole stabilite nel medesimo contratto e la sua causa è ravvisabile nello scambio dei flussi prodotti dal contratto … L’alea rientra quindi nella causa del contratto derivato, nel senso che, se manca l’alea, viene meno la giustificazione dello scambio del differenziale, e la mancanza di alea comporta la nullità del contratto ex art. 1418, comma 2, c.c., in relazione all’art. 1325 c.c. … L’alea bilaterale non richiede che il rischio sia equilibrato, ossia che le parti abbiano la stessa probabilità che si verifichi l’evento a sé favorevole, ma sussiste l’alea bilaterale anche quando il rischio è sopportato in misura diversa dai contraenti” (pagg. 6-7 sentenza).
Tuttavia, si duole l’appellante, non può dirsi irrilevante il fatto che, al momento della sottoscrizione del derivato, il cliente avesse o no a disposizione tutti gli strumenti per sapere se stesse assumendosi un rischio alto, o medio, o basso.
La questione, quindi, si risolve non nell’analisi dell’alea contrattuale (connaturata nel modello negoziale, pur se, in ipotesi, prioristicamente sbilanciata a favore dell’istituto intermediario), ma nello scambio informativo idoneo alla formazione dell’accordo delle parti.
Infatti, per potersi ‘scambiare’ un rischio, le parti debbono poter consapevolmente gradare tale rischio, utilizzando gli strumenti indicati nel contratto.
Secondo l’appellante, la Banca ha omesso di fornire a SOCIETÀ gli strumenti necessari per assumere un’alea consapevole, in relazione alla stipula dei contratti denominati ‘Tasso Fisso’ e ‘Tasso Fisso 2’. Nel caso di specie, esaminando i documenti contrattuali e le risultanze dell’elaborato del CTU nominato, emerge che i due contratti (Tasso Fisso e Tasso Fisso 2) sono due Interest Rate Swap over the counter.
I contratti derivati in questione sono identificati tramite il cosiddetto pay-off, ossia tramite la descrizione precisa dei flussi di cassa che Banca e SOCIETÀ si sono scambiati nel tempo. Questi flussi di cassa dipendono dal valore osservato a determinate scadenze future di un prodotto sottostante (nel caso in esame, Euribor 3 mesi).
Il pay-off dei derivati in questione, come spesso accade in questi casi, è quindi il risultato di una complicata funzione del valore futuro, ignoto a priori, del prodotto sottostante, che si basa sulla data di stipula del contratto, in cui sono disponibili i prezzi a termine che rappresentano il valore atteso al futuro, rispetto a tutte le informazioni disponibili al tempo zero (cd. “Curva Forward Euribor 3M”). Non esistendo un sistema di calcolo standard, ciascuna Curva Forward è costruita attraverso un algoritmo elaborato da ciascun soggetto giuridico interessato, che poi la pubblica nelle proprie banche dati (Bloomberg, Reuters, StandardePoors).
Per poter contenere un numero minimo di informazioni condivisibili, è quindi necessario che il contratto derivato contenga gli strumenti per identificare in modo preciso quale Curva Forward (elaborata da quale soggetto, quando e dove pubblicata) le parti hanno stabilito di utilizzare per determinare il pay-off del derivato.
Ora, nel caso di specie, i due contratti in oggetto (Tasso Fisso e Tasso Fisso 2) omettono ogni indicazione su come identificare in maniera univoca la Curva Forward Euribor 3M, utilizzata dalla Banca, per calcolare il pay-off dei due derivati.
E’ verosimile che il dato in questione potrebbe essere ricavato da un investitore particolarmente preparato in materia di analisi finanziaria (ipotizzando che SOCIETÀ lo fosse), conoscendo però altri fattori del contratto derivato, come ad esempio (a) il valore del Mark to Market al momento della stipula del contratto; (b) la formula matematica utilizzata per attualizzare i flussi futuri derivanti dall’esecuzione del derivato; (c) l’importo complessivo del margine di intermediazione.
Per Mark to Market, si deve intendere la somma algebrica attualizzata dei flussi (positivi e negativi) che si genererebbero alle scadenze concordate, qualora l’andamento del parametro variabile (nel caso in esame, Euribor 3M) confermi lo scenario probabilistico (la Curva Forward Euribor 3M utilizzata) esistente alla data della stipula del contratto.
Pertanto, per determinare il Mark to Market è necessario che venga fornita anche la formula matematica utilizzata, per l’attualizzazione dei flussi attesi.
Pertanto, il mark-to-market – inteso come il valore probabilistico che ex ante si assegna al differenziale a scadenza del derivato, calcolato sulla base di determinati criteri – costituisce un elemento essenziale del contratto, configurandosi come il suo oggetto.
Ora, i due contratti (Tasso Fisso e Tasso Fisso 2), non riportano né il valore del Mark to Market e neppure la formula matematica utilizzata, per attualizzare i flussi futuri attesi. Inoltre, nessuno dei due contratti riporta i dati per calcolare il margine di intermediazione, essendo esplicitamente non sufficienti tanto la scheda prodotto, quanto la disposizione di stipula dei contratti stessi.
Ne deriva che, al momento della stipula dei due contratti (Tasso Fisso e Tasso Fisso 2), il cliente non disponesse degli strumenti necessari per valutare il grado di rischio di ciascuno degli strumenti finanziari e, quindi, per formare la propria volontà negoziale su di essi, con conseguente nullità degli stessi ex art. 1325 c.c..
Costituisce, infatti, elemento essenziale del contratto swap, appunto a pena di nullità ex art 1325 c.c., il costo – ovvero il margine / remunerazione / corrispettivo spettante alla banca che ha costruito il derivato – che, inserito nella struttura dello swap, influisce certamente sulla misura del Mark to Market iniziale e, quindi, sull’alea che ciascuna parte si assume; esso deve pertanto essere oggetto di consapevole consenso del cliente, in quanto – in assenza di un mercato con prezzi confrontabili – detto elemento, di difficile conoscibilità per il cliente, è essenziale per la valutazione di opportunità che precede la stipula del contratto derivato, nonché per l’espressione di una consapevole e valida volontà negoziale (così App. Milano, I sez., sent. n. 628 del 13/02/2019).
Come giustamente statuito più volte dalla Suprema Corte (Cass. sent. n. 3459/2013 e n. 4303/2015) è “inconcepibile” che la banca/intermediario possa non esplicitare nel contratto IRS la presenza e l’entità del margine di profitto, ed in ogni caso il valore di partenza negativo del contratto a svantaggio del cliente, in quanto una tale situazione è in grado di falsare l’equilibrio probabilistico e, dunque, contrattuale tra le parti, le quali possono certamente addivenire ad un contratto aleatorio (il cui scopo sia una scommessa sull’andamento di un parametro finanziario come l’Euribor 3M) purché i termini della ‘scommessa’ siano assolutamente trasparenti per entrambi i contraenti.
Correttamente, a tale proposito, è stato osservato che il Mark to Market coincide con il fair value iscrivibile in bilancio ai sensi dell’art. 2427 bis c.c., senza margini di discrezionalità nel calcolo di questo valore, a pena di violazione dei criteri di iscrizione delle poste di bilancio. Ne deriva, pertanto che i termini contrattuali impongono che tale fair value sia chiaramente dichiarato o, quantomeno, determinabile, in base a criteri oggettivi.
Del resto, la circostanza, nemmeno specificamente contestata, che, al momento della conclusione del contratto, l’investitore non conoscesse il cd. Mark to Market e che questo elemento non rientrasse nel contenuto dell’accordo, comporta la radicale nullità dei contratti di Interest Rate Swap, perché esclude che l’investitore abbia potuto concludere la “scommessa”, conoscendo il grado di rischio assunto, laddove, per contro, l’intermediario aveva perfetta conoscenza del proprio rischio, avendolo misurato scientificamente e su di esso predisposto lo strumento finanziario. La mancata indicazione del Mark to Market consente, inoltre, all’intermediario (il quale, come detto, in base al contratto quadro, è anche il mandatario della controparte nell’alea) di occultare il suo compenso, rappresentato dai cd. costi impliciti, all’interno delle condizioni economiche dell’atto gestorio; mentre il compenso deve essere determinato nel contratto o determinabile in virtù di un criterio (modello matematico di pricing) condiviso ex ante dall’intermediario e dal cliente (così App. Milano, sent. 18/09/2013).
Conclusioni e spese
L’accoglimento della domanda di nullità comporta l’obbligo di restituzione delle somme addebitate a SOCIETÀ nel periodo di efficacia dei contratti, detratte le somme computate a suo favore, per un saldo documentato di € 182.050,16, oltre interessi dalla domanda al saldo.
Va, invece, rigettata la domanda risarcitoria, in difetto di prova sulla produzione di un danno ulteriore, non compensato dal versamento dell’interesse, in particolare sotto il profilo del cd. ‘lucro cessante’, il quale, differentemente da quanto ipotizzato dall’appellante, non può essere liquidato in via equitativa, in mancanza di precise allegazioni, qui assenti, sulla diversa fruizione cui sarebbero stati destinati i flussi confluiti ad alimentare i contratti derivati in esame.
Assorbite pertanto le questioni ulteriori, relative al corretto adempimento, da parte della banca, degli obblighi informativi e di adeguatezza al prodotto finanziario contrattualizzato, considerato l’esito complessivo della vertenza, si dispone che le spese giudiziali seguano la soccombenza e si liquidano, tenuto conto del valore, della natura della causa, del pregio dell’opera e delle questioni trattate, come in dispositivo. Le spese di CTU, invece, si pongono definitivamente a carico di entrambe le parti, nella misura del 50% ciascuna, in quanto funzionali per entrambe alla verifica tecnica del materiale probatorio, per quanto di reciproco interesse.
P.Q.M.
La Corte di Appello di Milano, definitivamente pronunciando nel contraddittorio delle parti, ogni diversa domanda o eccezione disattesa, in riforma della sentenza del Tribunale di Lodi n. 420/2017 in data 27.06.2017:
– Dichiara la nullità dei contratti derivati Tasso Fisso del 20.02.2008 e Tasso Fisso 2 del 16.09.2008 e, per l’effetto, condanna BANCA S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, a restituire a SOCIETÀ S.r.l. in Liquidazione la somma di € 182.050,16, oltre interessi dalla domanda al saldo;
– Condanna BANCA S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore a rifondere le spese del giudizio a SOCIETÀ S.r.l. in Liquidazione, spese che liquida in € 13.430,00 per compensi, oltre € 767,00 per esborsi, quanto al primo grado, e in € 12.400,00 per compensi, oltre € 1.165,50 per esborsi, per il secondo grado, il tutto oltre rimborso forfetario delle spese generali, CNPA e Iva;
– Pone a carico delle parti, in misura uguale al 50%, le spese della Consulenza Tecnica d’Ufficio, siccome già liquidate con specifica ordinanza in primo grado.
Così deciso in Milano, 23 maggio 2019