Tribunale Siena, 20/01/2020, n. 79
Fatto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Gli attori, fideiussori, agiscono per sentir revocare il decreto ingiuntivo n. 527/2018, emesso per l’importo di € 188.175,41, in relazione a contratto di leasing immobiliare concluso nel 2009 in favore della B.A. S.r.l.. In particolare, per quanto ancora rileva in questa sede, eccepiscono il difetto di competenza territoriale e nel merito contestano la scorretta condotta negoziale della controparte nonchè la debenza dell’indeterminato credito, anche in tema di interessi passivi.
La convenuta insiste nel ricorso, richiamando la propria documentazione negoziale.
La causa non ha visto istruttoria.
L’eccezione preliminare di rito sulla incompetenza territoriale non ha pregio perché la competenza esclusiva di questo Tribunale è stata, invero, specificamente pattuita colla società utilizzatrice nel contratto in atti; del resto, trattandosi di dedotta obbligazione di pagamento di somma determinata, vale ai fini dell’art. 20 c.p.c. il domicilio del creditore (non essendo sufficiente, in mancanza di chiara deroga, la mera domiciliazione bancaria: cfr. Cass. Ordinanza n. 22941 del 30/10/2007). Ed in presenza di un contratto di fideiussione, ai fini dell’applicabilità della specifica normativa in materia di tutela del consumatore, il requisito soggettivo della qualità di consumatore deve riferirsi all’obbligazione garantita, cui quella del fideiussore è accessoria, sicché, difettando tale condizione, è valida la clausola derogativa della competenza territoriale contenuta nel contratto di fideiussione per le esposizioni bancarie di una società di capitali stipulato da un socio o da un terzo (v. da ultimo Cass. Sentenza n. 16827 del 09/08/2016).
Né del resto l’opponente ha allegato (v. Ordinanza del 19.11.2015,C-74/15 della Corte di Giustizia Europea) tutte le circostanze della fattispecie e tutti gli elementi di prova per valutare se possa essere qualificato come “consumatore”: nel caso di una persona fisica che abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni di una società commerciale, spetta invero al giudice nazionale determinare se tale persona abbia agito nell’ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano a tale società, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata.
Passando al merito, gli accordi negoziali emergono dalle produzioni documentali in atti.
Per il resto, deve prendersi atto del recente insegnamento della Suprema Corte (sentenza del 19/02/2018 n.3949) la quale anche in tema di contratto finanziario richiama il proprio costante orientamento (a partire da Cass. s.u. 30/10/2001 n. 13533), secondo cui nelle azioni di adempimento, di risoluzione e risarcitoria – che hanno come elemento comune il mancato adempimento – il creditore è tenuto a provare soltanto l’esistenza del titolo, ma non l’inadempienza dell’obbligato, potendosi limitare alla mera allegazione della circostanza di tale inadempimento, mentre incombe all’obbligato l’onere di provare di avere adempiuto (Cass. 12/02/2010, n. 3373; Cass. 12/04/2006, n. 8615). Dunque, per dimostrare il credito vantato è sufficiente la produzione in giudizio del contratto sottoscritto dalle parti, corredato dal relativo piano di ammortamento, con l’indicazione degli importi dei canoni periodici pattuiti, potendo il creditore limitarsi ad allegare l’inadempimento del debitore all’obbligazione pecuniaria e restando onere di quest’ultimo dimostrarne l’esatto adempimento.
Nè è consentito al giudice pretendere a fini probatori la produzione in giudizio degli “estratti conto” relativi ad un rapporto di leasing, da un lato, non trattandosi certo di un contratto di conto corrente regolato dall’art. 1823 e segg. c.c. e, dall’altro, non assumendo rilievo alcuno la giurisprudenza della Corte, formatasi in relazione al valore del c.d. “estratto del saldaconto”, R.D.L. 12 marzo 1936, n. 375, ex art. 102, convertito dalla L. 7 marzo 1938, n. 141, nell’ambito dei giudizi monitori fondati sui vari contratti bancari regolati in conto corrente.
Ricadeva, in ogni caso, sugli opponenti quantomeno irrobustire le proprie allegazioni, dal momento che la generica denuncia della nullità di alcune clausole, si traduce, di fatto, in una violazione dei principi del contraddittorio processuale, che impongono alla parte di allegare in modo chiaro i fatti posti a fondamento della propria domanda.
Per il resto, parte opponente deve imputare ogni eventuale mala gestio non alla società finanziaria quanto alla debitrice principale.
Colui che abbia prestato fideiussione per ogni obbligazione futura, esonerando l’istituto bancario creditore dall’osservanza dell’onere impostogli dall’art. 1956 c.c., non può invocare, per ottenere la propria liberazione nonostante la sottoscritta clausola di esonero, la violazione dei principi di correttezza e buona fede da parte del creditore per avere quest’ultimo concesso ulteriore credito. In tale situazione, infatti, per un verso, non è ipotizzabile alcun obbligo del creditore di informarsi a sua volta e di rendere edotto il fideiussore, già pienamente informato, delle peggiorate condizioni economiche del debitore specie quando gli stessi abbiano accettato la ricordata moratoria senza revocare la garanzia (cfr. Cass. Sentenza n. 2902 del 15/02/2016).
Addirittura, in tema di liberazione del fideiussione, l’autorizzazione di cui all’art. 1956 c.c. non è configurabile come accordo “a latere” del contratto bancario cui la garanzia accede, sicché non richiede la forma scritta “ad substantiam” e può essere ritenuta implicitamente e tacitamente concessa dal garante, in applicazione del principio di buona fede nell’esecuzione dei contratti, laddove emerga perfetta conoscenza, da parte sua, della situazione patrimoniale del debitore garantito (Cass. Sentenza n. 4112 del 02/03/2016).
Nel caso di specie, del resto, è dirimente rilevare che non può parlarsi a stretto rigore di garanzia prestata per un’obbligazione futura (il tipico caso della fideiussione c.d. omnibus) quanto di garanzia collegata al singolo specifico contratto di leasing, in cui le obbligazioni garantite sono contestuali e determinate pure nella loro portata finanziaria.
In definitiva, il decreto ingiuntivo opposto non merita revoca ed ogni altra questione rimane assorbita (anche per la genericità di allegazione).
Le spese processuali seguono il criterio di soccombenza.
P.Q.M.
rigetta l’opposizione;
condanna in solido gli opponenti al pagamento delle spese processuali che liquida in € 8.500 per compenso di Avvocato, oltre accessori come per legge;
dichiara definitivamente esecutivo il decreto ingiuntivo opposto.
Così deciso in Siena il 14 gennaio 2020.
Il Giudice
Dr. Paolo Bernardini