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Diritto bancario Gli obblighi informativi posti a carico dell’intermediario e la ripartizione dell’onere della prova

Gli obblighi informativi posti a carico dell’intermediario e la ripartizione dell’onere della prova

Cassazione civile sez. I, 16/05/2019, (ud. 21/02/2019, dep. 16/05/2019), n.13265

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4764/2015 proposto da:

T.D., elettivamente domiciliato in Roma, Via Sallustio

Bandini n. 7, presso lo studio dell’avvocato Di Loreto Maria Gloria,

rappresentato e difeso dall’avvocato Pastore Carbone Nicola, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Banca Popolare Dell’Emilia Romagna – Società Cooperativa, in persona del legale rappresentante pro tempore, quale società incorporante la Banca della Campania s.p.a., elettivamente domiciliata in Roma, Via XX Settembre n. 3, presso lo studio dell’avvocato Sandulli Michele che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Nardone Antonio, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

contro

Banca della Campania Spa;

– intimata –

avverso la sentenza n. 3542/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata l’08/08/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 21/02/2019 dal Cons. Dott. TRICOMI LAURA.

Fatto

RITENUTO CHE:

T.D. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di S. Maria C.V., la Banca della Campania SPA e contestava, relativamente all’esecuzione di numerose operazioni di acquisto e vendita di azioni, in via principale la violazione del combinato disposto degli 30 e 47 del Regolamento CONSOB n. 11522/1998 per avere la banca intermediaria finanziato gli investimenti del cliente disattendendo la disciplina precettiva contemplata dalle suddette norme, mentre in via subordinata deduceva la violazione degli artt. 21 del TUF e 29 del citato Regolamento CONSOB per non avere la banca intermediaria provveduto ad astenersi dal dare esecuzione ai menzionati ordini di acquisto stante la palese inadeguatezza per dimensioni dei medesimi. Chiedeva in via principale la nullità derivata delle citate operazioni di acquisto e, in via subordinata, la risoluzione per inadempimento delle stesse operazioni. La banca contestava le avverse domande.

Il Tribunale adito aveva accolto la domanda principale e, previa declaratoria di nullità del contratto di finanziamento intercorso tra le parti, aveva condannato la banca alla restituzione della somma di Euro 460.194,87 oltre interessi.

Questa decisione è stata riformata dalla Corte di appello di Napoli con la sentenza in epigrafe indicata, che, in accoglimento dell’appello della banca, ha rigettato tutte le domande originariamente proposte da T.D. ed ha accolto la domanda riconvenzionale originariamente spiegata dalla banca, condannando il T. al pagamento a favore della banca della complessiva somma di Euro 212.746,71, oltre interessi ed alla rifusione delle spese di lite del doppio grado e di CTU.

Secondo la Corte, in relazione al contratto di apertura di credito, collegato con quello di conto corrente, mancava la prova che fosse stato aperto (ed il credito concesso) allo scopo di svolgere attività di intermediazione finanziaria, sicchè il contratto non era nullo per ragioni di forma (mancando quella scritta). Nè erano stati violati gli obblighi informativi di cui all’art. 29, in quanto l’investitore, che aveva acquistato titoli azionari, possedeva, al momento dell’inizio delle operazioni, un ampio portafogli di azioni dello stesso tipo di quelle poi acquistate tramite l’intermediario;

  1. propone ricorso per cassazione con quattro mezzi, corroborato da memoria. La Banca Popolare dell’Emilia Romagna Società cooperativa PA, nella quale si è fusa per incorporazione la Banca della Campania SPA, replica con controricorso e memoria.

Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis 1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO che:

1.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia l’omesso esame, da parte della Corte di appello, di un fatto storico la cui esistenza risulti dagli atti del processo, abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

La censura riguarda, nella prospettazione del ricorrente l’omesso esame di molteplici documenti concernenti il rapporto di conto corrente e gli altri rapporti intercorsi con la banca.

1.2. Il primo motivo è inammissibile.

1.3. Come già affermato da questa Corte “Il mancato esame di un documento può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui determini l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, segnatamente, quando il documento non esaminato offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la “ratio decidendi” venga a trovarsi priva di fondamento. Ne consegue che la denuncia in sede di legittimità deve contenere, a pena di inammissibilità, l’indicazione delle ragioni per le quali il documento trascurato avrebbe senza dubbio dato luogo a una decisione diversa.” (Cass. n. 16812 del 26/06/2018; n. 19150 del 28/09/2016).

Nel caso di specie non c’è omesso esame di fatti. I documenti risultano presi in considerazione, laddove ritenuti utili e pertinenti, e la contestazione riguarda piuttosto l’interpretazione degli stessi e la valutazione di singole clausole o contenuti, che non integrano la violazione dedotta. Il ricorrente, inoltre, pur ritenendo che, sulla base di tali documenti, la Corte di appello avrebbe dovuto dare altra soluzione, non chiarisce l’esatta connessione tra la predetta “altra soluzione” e il percorso argomentativo e interpretativo alternativo che la Corte territoriale non avrebbe compiuto.

2.1. Con il secondo motivo si denuncia si denuncia la violazione del D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 23 e degli artt. 30 e 47 del Regolamento CONSOB n. 11522/1998.

A parere del ricorrente, la Corte di appello avrebbe errato nell’escludere l’applicabilità nel caso in esame dell’art. 47 del Regolamento, ritenendo che la provvista era stata fornita dall’intermediario mediante una apertura di credito precedente all’acquisto dei titoli e non funzionalmente collegata alle operazioni di investimento.

In proposito sostiene che così limitando l’applicabilità della norma solo alle forme di finanziamento tipizzate e concesse simultaneamente all’operazione di acquisto titoli proprio al fine di consentirla, si vanificherebbe la portata della norma.

Lamenta quindi che la Corte di appello, avendo rilevato che le ampie agevolazioni creditizie riconosciute dalla banca al T., concretizzatesi in aperture di credito via via aumentate nel corso degli anni erano destinate all’attività professionale (architetto) imprenditoriale (titolare impresa edile) del ricorrente, abbia ritenuto che gravasse sull’investitore l’onere di provare che la banca aveva avuto conoscenza che scopo del fido era l’investimento in titoli – non previsto dall’apertura di credito – e sostiene che il collegamento tra i due contratti va definito come “necessario” e non come “volontario”, con l’effetto di far venir meno l’onere probatorio erroneamente addossato all’investitore; richiama, infine, la disciplina prevista per il credito al consumo sostenendo che entrambe le ipotesi costituirebbero “fattispecie obbligatorie tipizzate dal legislatore” configuranti un collegamento negoziale a carattere funzionale volto a tutelare la parte comune dei due contratti, cioè il consumatore, in uno finanziato ed acquirente.

2.2. Il motivo è inammissibile, oltre che infondato.

2.3. L’art. 47 (Concessione di finanziamenti agli investitori) cit. prevede “1. In aggiunta a quanto previsto dall’art. 30, il contratto con gli investitori deve indicare i tipi di finanziamento previsti, il tasso di interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati o i criteri oggettivi per la loro determinazione, nonchè gli eventuali maggiori oneri applicabili in caso di mora; la possibilità di variare in senso sfavorevole all’investitore il tasso di interesse e ogni altro prezzo e condizione deve essere espressamente indicata nel contratto con clausola specificamente approvata dall’investitore. 2. Configura concessione di finanziamenti l’effettuazione di operazioni di pronti contro termine, di riporto, di prestito titoli e di ogni altra analoga operazione finalizzata all’acquisizione da parte dell’investitore a titolo di provvista di somme di denaro o strumenti finanziari contro pagamento di un interesse: a) il cui ricavato sia destinato all’esecuzione di operazioni relative a strumenti finanziari nelle quali interviene l’intermediario; b) in cui l’intermediario acquisisca dall’investitore, a fronte del finanziamento concesso, adeguate garanzie; di regola, gli strumenti finanziari costituiti in garanzia sono gli stessi oggetto delle operazioni di cui alla lettera a). Il valore degli strumenti finanziari acquisiti in garanzia deve risultare congruo rispetto all’importo del finanziamento concesso.”

2.4. La Corte di appello con sindacato di fatto non censurabile in sede di legittimità se non per omesso esame di fatti decisivi – censura che risulta proposta con il primo motivo che, per le ragioni già espresse, non merita accoglimento – ha accertato, contrariamente a quanto assume il ricorrente, che non ricorreva la fattispecie disciplinata dall’art. 47 cit. in quanto il T. sin dal 1994 aveva goduto di agevolazioni creditizie e di apertura di credito per finalità del tutto diverse dall’investimento mobiliare.

La Corte territoriale ha quindi escluso che ciò fosse sufficiente a far ricadere la fattispecie concreta sotto l’applicazione della disciplina invocata sulla considerazione che il fenomeno tenuto presente dal legislatore – e sanzionato con la nullità relativa – non era quello della coincidenza soggettiva tra finanziatore ed intermediario, ma quello in cui l’intermediario diveniva finanziatore per una specifica operazione di investimento, poichè solo in tal caso si poteva ravvisare un collegamento funzionale oggettivo tra il finanziamento e l’investimento, ed ha concluso infine che, nel caso specifico, detto collegamento funzionale, anche alla luce della cronologia degli eventi, non era stato provato.

2.5. La censura non coglie la ratio decidendi insita nella decisione impugnata e non si confronta con il nucleo motivazionale costituito dalla mancanza di prova del collegamento funzionale oggettivo tra il finanziamento e l’investimento.

2.6. Nel caso di specie, la Corte di appello non ha affatto affermato che la disciplina evocata si applica solo alle forme di finanziamento descritte nell’art. 47 del Reg. Consob, tanto è che ha espressamente riconosciuto che potrebbe estendersi anche all’apertura di credito, nè ha affermato che deve sussistere una rigorosa simultaneità temporale tra finanziamento ed investimento, ma ha sottolineato la necessità della sussistenza di un collegamento funzionale oggettivo tra le due operazione, soffermandosi sugli elementi che non deponevano in tal senso e cioè, da un lato, la anteriorità della disponibilità finanziaria e, dall’altro, il fatto che il T. aveva acquisito la disponibilità economica per ragioni connesse alla attività imprenditoriale da lui svolta e ne poteva fruire, pertanto, in autonomia senza vincoli di destinazione all’investimento finanziario e, sulla scorta di tali emergenze, ha escluso che ciò consentisse di ascrivere le operazioni nell’ambito delle fattispecie disciplinate dall’art. 47 cit.: orbene tale ultimo decisivo passaggio della motivazione è totalmente ignorato dalla doglianza, con evidenti ricadute sull’ammissibilità del motivo.

2.7. Va aggiunto che non appare centrata nemmeno la critica alla ripartizione dell’onere probatorio, che necessariamente incombe sul soggetto che intende far valere la nullità relativa, in un caso – come il presente – in cui la fattispecie concreta non sia immediatamente riconducibile alla fattispecie astratta normativamente prevista, come accertato dalla Corte di appello, senza che ciò comporti alcuna contraddizione motivazionale; nè può darsi seguito al tentativo del ricorrente di aggirare le incombenze probatorie invocando una sorta di collegamento necessario ex lege tra finanziamento ed investimento, anche attraverso un improprio riferimento alla disciplina del credito al consumo, attesa la netta autonomia delle due discipline.

Invero l’assunto difensivo si fonda sul presupposto che sia la legge stessa a configurare il collegamento negoziale a carattere funzionale, ma è evidente che tale prospettazione nel presente caso è priva di rilievo, atteso che la concreta fattispecie, così come accertato dalla Corte di appello, non corrisponde nè alla fattispecie prevista al comma 2, lett. a), nè a quella prevista dell’at. 47 cit., comma 2, lett. b).

3.1. Con il terzo motivo si lamenta la violazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21 e art. 29 Reg. Consob n. 11522/1998 e si contesta la motivazione nella parte in cui si afferma che l’investitore era esperto e propenso al rischio (portafoglio) e che i doveri informativi sono inversamente proporzionali alla specifica preparazione dell’investitore; infine, si sostiene che, con riferimento all’inadeguatezza delle operazioni, il giudice aveva confuso tra disponibilità delle somme e dimensione dell’investimento.

3.2. La doglianza è inammissibile, oltre che infondata.

3.3. Il motivo è inammissibile poichè – nel silenzio della sentenza – non è premesso, in modo autosufficiente, quale tipo di rapporto contrattuale intercorreva tra il T. e l’intermediario; inoltre, per la maggior parte, il motivo prospetta questioni di merito e sollecita una diversa valutazione delle emergenze istruttorie, quanto alla natura ed alle caratteristiche dei titoli in portafoglio, incompatibili con la denuncia di violazione di legge.

3.4. A ciò va aggiunto che non coglie nemmeno la ratio decidendi. Sotto quest’ultimo profilo, va osservato che, la Corte di appello, dopo aver rammentato che il Tribunale aveva ravvisato la responsabilità dell’intermediario nel mancato adempimento degli obblighi informativi, ne ha riformato la statuizione ritenendo dirimente la circostanza accertata in fatto che il T. aveva dichiarato la propensione al rischio alta ed esperienza in strumenti finanziari alta, indicando quali obiettivi di rendimento la compresenza di redditività e rivalutabilità prevalentemente su strumenti finanziari esteri, avendo considerato che in ragione di ciò la banca, che pure aveva in più occasioni segnalato il notevole rischio di oscillazione dei titoli, non avrebbe potuto astenersi dal compiere le operazioni del tipo di quelle già concluse in precedenza dal T. con esito favorevole.

Su tale premessa la Corte di appello ha, quindi, affermato che gli obblighi informativi erano inversamente proporzionali al livello di preparazione specifica dell’investitore ed ha escluso che ricorresse l’inadempimento.

3.5. Orbene, a fronte di ciò, la censura trascura l’accertamento in fatto e si muove in termini del tutto astratti, senza peraltro precisare della mancanza di quale specifica informazione ci si intenda dolere e senza illustrare in che differente modo l’investitore avrebbe potuto orientarsi.

Risulta peraltro non pertinente la riproposizione della questione concernente la provvista utilizzata e la situazione finanziaria dell’investitore, stante il rigetto del secondo motivo del ricorso.

3.6. La decisione impugnata risponde, invece, al principio già espresso da questa Corte secondo la quale “In tema di intermediazione finanziaria, la disciplina dettata dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23, comma 6, in armonia con la regola generale stabilita dall’art. 1218 c.c., impone all’investitore, il quale lamenti la violazione degli obblighi informativi posti a carico dell’intermediario, nel quadro dei principi che regolano il riparto degli oneri di allegazione e prova, di allegare specificamente l’inadempimento di tali obblighi, mediante la pur sintetica ma circostanziata individuazione delle informazioni che l’intermediario avrebbe omesso di somministrare, nonchè di fornire la prova del danno e del nesso di causalità tra inadempimento e danno, nesso che sussiste se, ove adeguatamente informato, l’investitore avrebbe desistito dall’investimento rivelatosi poi pregiudizievole; incombe invece sull’intermediario provare che tali informazioni sono state fornite, ovvero che esse esulavano dall’ambito di quelle dovute” (Cass. n. 10111 del 24/04/2018), mentre il ricorrente non illustra della mancanza di quali specifiche informazioni abbia inteso dolersi e di come le stesse avrebbero potuto altrimenti determinarlo.

Giova ricordare in proposito che, contrariamente a quanto ritiene la ricorrente, questa Corte ha chiarito che “In tema di intermediazione finanziaria, nel quadro di applicazione dell’art. 29 del regolamento Consob n. 11522 del 1998, la segnalazione di inadeguatezza ivi contemplata al comma 3, laddove si riferisce ad “esplicito riferimento alle avvertenze ricevute”, non richiede l’indicazione del contenuto delle informazioni al riguardo somministrate dall’intermediario; in tal caso e cioè in mancanza di indicazione del contenuto delle informazioni omesse, la sottoscrizione da parte del cliente della segnalazione di inadeguatezza non incide sul riparto del relativo onere di allegazione e prova, nè tantomeno costituisce prova dell’adempimento, da parte dell’intermediario, dell’obbligo informativo posto a suo carico, ma fa soltanto presumere che l’obbligo sia stato assolto, sicchè, ove il cliente alleghi quali specifiche informazioni siano state omesse, grava sull’intermediario l’onere di provare, con ogni mezzo, che invece quelle informazioni siano state specificamente rese, ovvero non fossero dovute” (Cass. n. 10111 del 24/04/2018).

3.7. La decisione impugnata non si distacca da questi principi ed il motivo risulta anche infondato.

4.1. Con il quarto motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1283,1284,1346 e 1421 del c.c., nonchè del D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 117, in merito all’accoglimento della domanda riconvenzionale proposta dalla banca volta ad ottenere il pagamento in suo favore dei saldi risultanti dai conti accesi dal T..

Il ricorrente si duole che la Corte di appello abbia accolto la domanda riconvenzionale senza svolgere l’ordinaria attività processuale, avendo desunto dagli atti processuali che egli aveva formulato un riconoscimento di debito condizionato al mancato accoglimento delle domande principali. Di contro sostiene di avere contestato sin dal primo grado, e quindi in appello, il saldo dei conti correnti e l’errata applicazione degli interessi anatocistici.

Sostiene, inoltre che la Corte di appello avrebbe dovuto rilevare d’ufficio le nullità di calcolo.

4.2. Il motivo è infondato.

4.3. La Corte di appello ha desunto il riconoscimento di debito condizionato dalla memoria del D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, ex art. 6, depositata in replica alla riconvenzionale proposta dalla banca.

Dalla trascrizione dell’atto di primo grado invocato dal ricorrente a sostegno della sua doglianza (fol. 29 del ricorso), di contro, la contestazione circa l’applicazione degli interessi anatocistici appare focalizzata esclusivamente sul prospettato “illecito finanziamento”, che è stato escluso all’esito del giudizio.

Quanto alle questioni prospettanti nullità concernenti il contratto di apertura di credito del 1991 e le successive delibere di fido del 1/12/1994, 27/2/1996, 19/3/1997, 29/4/1998 e 24/3/1999 e delle proposte di fido del 1/5/2000 e del 22/5/2000 (così in ricorso, fol. 30) e la nullità della commissione di massimo scoperto, la questione proposta risulta del tutto nuova ed estranea al thema decidendum originariamente definito con l’atto introduttivo.

5.1. In conclusione, il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

Sussistono i presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso;

Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 8.000,00, oltre Euro 200,00, per esborsi, spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15% ed accessori di legge;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 21 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 maggio 2019

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