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Diritto immobiliare Cooperativa edilizia: nulli i negozi traslativi della proprietà di locali commerciali realizzati su aree comuni

Cooperativa edilizia: nulli i negozi traslativi della proprietà di locali commerciali realizzati su aree comuni

Cassazione civile sez. II, 12/04/2019, n.10355

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’appello di Roma rigettò l’impugnazione avanzata da F.G. e altre trenta persone, tutti condomini, assegnatari di alloggi edificati dalla cooperativa edilizia a r.l. Oclete, così confermando la decisione di primo grado, la quale aveva disatteso la domanda degli appellanti diretta alla dichiarazione di comune proprietà del piano piloty, che era stato chiuso e trasformato in locali commerciali dalla cooperativa e di nullità dei negozi traslativi messi in atto da quest’ultima.

Avverso quest’ultima statuizione ricorrevano, sulla base di tre motivi, F.G., M.F., Pu.Gi., S.P., T.W., Z.G., T.S., Si.Ma., B.C., Ba.Ra..

Resisteva con controricorso il consorzio Nova Domus, società cooperativa e la società cooperativa edilizia Oclete, nonchè, con atto separato, Pa.Ti..

I ricorrenti, il consorzio e la cooperativa depositavano memorie illustrative.

Non svolgevano difese gli intimati consorzio Andropolis società cooperativa a r.l., e P.B..

Venuto in trattazione all’udienza camerale del 18 luglio 2018, il processo veniva posto alla pubblica udienza.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

  1. Con il primo motivo i ricorrenti denunziano violazione, erronea e/o falsa applicazione della L. 18 aprile 1962, n. 167, artt. 3 e 10, siccome modificata dalla L. 22 ottobre 1971, n. 865, L. n. 865 cit., art. 35, artt. 201 e 205, del T.U. n. 1165 del 28/4/1938, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Questa, in sintesi, la prospettazione impugnatoria:

– il titolo di appartenenza del piano piloty ai soci assegnatari degli alloggi non avrebbe dovuto rinvenirsi nella concessione edificatoria, bensì nell’art. 2, del regolamento condominiale;

– la concessione era subordinata all’atto d’obbligo e, quindi, al richiamo alla L. n. 167 del 1962, e pertinenti piani di zona, che imponeva il rispetto del T.U. n. 1165/1938, atto d’obbligo che espressamente disponeva che l’area di cui al piano terra e piloty doveva restare “permanentemente a giorno e libera”;

– gli atti di assegnazione davano atto del rispetto dei principi della mutualità e della destinazione della costruzione a finalità di edilizia economica e popolare;

– l’attività cooperativistica trova inderogabile disciplina nel T.U. del 1938 cit., al fine di assicurarne lo scopo mutualistico, scopo che non tollera il perseguimento di scopi lucrativi, tanto che per effetto del comb. disp. degli artt. 2379 e 2516, c.c., l’alienazione del bene sociale viene colpita dalla sanzione della nullità e, quindi, non poteva essere dubbia la “palese illiceità di destinare una parte del piano piloty dei soci-condomini a negozi, con il compimento di attività commerciale di tipo lucrativo”:

– effettuata l’assegnazione e sorto il condominio trova applicazione la disciplina inderogabile di cui agli artt. 201 – 240 del T.U. del 1938 cit.;

– era evidente l’errore nel quale era incorsa la sentenza impugnata, la quale non aveva considerato che, non solo il piano piloty, ma tutti gli spazi comuni si appartenevano ai condomini assegnatari e la loro destinazione non avrebbe potuto, comunque, essere mutata, a mente della L. n. 167 del 1962, art. 10, il quale “prevede espressamente che le aree edificabili possono essere richieste per la costruzione di case popolari, solo dallo Stato, Regioni, Province, Comuni, IACP, INA – Casa, Cooperative per la costruzione di case popolari a favore dei propri soci (come nel caso in esame), INPGI, Enti morali e Istituti non aventi scopo di lucro”;

– di conseguenza, la clausola, con la quale la cooperativa Oclete si era “riservata la proprietà”, senza averne titolo, di spazi comuni e piano piloty era nulla, per i quali i soci assegnatari avevano corrisposto il pagamento;

– l’equiparazione alla ordinaria costruzione privata si poneva in contrasto con la L. n. 167 del 1962, art. 3 e segg., i quali imponevano la individuazione delle zone da destinarsi alla residenzialità economica e popolare, gli standard edificatori, i limiti, le restrizioni e la procedura da rispettare; nonchè con l’art. 35 della n. 865/1971, modificativo della L. n. 167 del 1962, art. 10, il quale prescrive che le aree, individuate attraverso pubblico procedimento, vengono espropriate dai comuni o da loro consorzi, che poi procedono a concedere il diritto di superficie alla cooperativa edilizia;

– infine, la evidente nullità della riserva imposta nel regolamento condominiale, per avere disposto in favore della cooperativa di beni che si appartenevano ai soci assegnatari e che non potevano, per legge, essere alienati, trovava ulteriore conferma nella presunzione di condominialità di cui all’art. 1117 c.c..

1.1. La doglianza è fondata per le convergenti ragioni di cui appresso.

1.1.1. Occorre da subito spazzare il campo dal tema dibattuto nel giudizio e valorizzato, senza pertinenza, dalla sentenza d’appello, riguardante la assunta rilevanza nella risoluzione del contrasto della natura giuridica dell’atto d’obbligo (cioè delle condizioni imposte dalla pubblica amministrazione alla cooperativa costruttrice con la pubblica convenzione autorizzativa del progetto edilizio).

Questa Corte, negando l’assimilabilità di un tale atto al contratto in favore del terzo, ha escluso che i privati acquirenti delle unità immobiliari possano rivendicare diritti nascenti dall’impegno assunto dal costruttore nei confronti della P.A. (cfr., ex multis, Sez. 1, n. 9314, 17/4/2013; Sez. 2, n. 2742, 23/2/2012).

Nel caso in esame il diritto prospettato dai ricorrenti non poggia sopra una contrastante interpretazione del richiamato e condiviso principio, radicandosi su ben altre prospettazioni, che, in sintesi, e sommariamente, possono ridursi alla denunziata nullità dei contratti di alienazione attraverso i quali si è destinata una parte della costruzione a scopi estranei alla finalità mutualistica, per contrasto con norme imperative e alla nullità dei predetti contratti per avere la cooperativa costruttrice alienato beni che si appartenevano indissolubilmente al condominio e, quindi, in comunione condominiale a tutti i soci assegnatari.

1.1.1.1. Il primo tema d’affrontare concerne la questione se le finalità pubbliche poste a base della normativa speciale che regola l’accesso all’abitazione con lo strumento cooperativistico siano compatibili con la riserva di una parte del fabbricato a scopo di lucro.

Occorre prendere le mosse dall’art. 47 Cost., comma 2, il quale recita che la Repubblica favorisce l’accesso “alla proprietà dell’abitazione”, così prescrivendo all’ordinamento tutto di assicurare, mediante l’approntamento di misure adeguate una tale finalità, costituente una delle precondizioni materiali (sia pure anche attraverso forme di fruizione diverse dalla proprietà esclusiva, purchè idonee a soddisfare il primario bisogno di sicurezza e stabilità abitativa) perchè possa tutelarsi la dignità dell’uomo, agevolando lo sviluppo di una vita libera e dignitosa.

In adempimento di un tale dovere la L. 18 aprile 1962, n. 167, successivamente modificata e integrata dalle L. 21 luglio 1965, n. 904, L. 22 ottobre 1971, n. 865, detta le disposizioni per l’acquisizione di aree da destinarsi all’edilizia economica e popolare, nell’ambito della quale si colloca il sistema delle cooperative edilizie.

E’ in questa sede pertinente ricordare che la legge impone ai comuni con una popolazione superiore ai 50.000 abitanti o che siano capoluogo di provincia, e sollecita tutti gli altri comuni, anche in forma consorziata e le Regioni a individuare le aree da destinarsi all’edificazione residenziale di tipo economico e popolare, prevedendo, ove l’assetto urbanistico ne manifesti l’esigenza, la deroga ai piani regolatori, selezionando anche aree non destinate all’edilizia residenziale (si veda in particolare l’art. 3, comma 3). L’approvazione dei piani è equiparata a “dichiarazione d’indifferibilità ed urgenza di tutte le opere, impianti ed edifici in esso previsti” (art. 9, comma 2) e si dispone la soggezione all’espropriazione delle aree interessate per tutta la durata di efficacia del piano (art. 9, comma 4).

La L. 22 ottobre 1971, n. 865, assegna ai comuni il potere di espropriare (espropriazione ora regolata dal T.U. approvato con D.P.R. 16 agosto 2001, n. 327) le aree destinate all’edilizia economica e popolare; aree le quali vengono “concesse in diritto di superficie (…) o cedute in proprietà a cooperative edilizie e loro consorzi” (art. 35, commi 2 e 11), previo richiesta dell’ente costruttore e stipula di convenzione con il comune. La legge prescrive i requisiti per poter accedere all’alloggio con lo strumento agevolato e vieta all’assegnatario di far luogo ad altra assegnazione.

Nella esperienza pratica possono aversi situazioni nelle quali la cooperativa riceve l’area superficiaria dall’ente locale, il quale, a sua volta, ha proceduto ad espropriare il proprietario; oppure la cooperativa acquista direttamente dal proprietario l’area vincolata. Così come i fondi necessari per l’edificazione possono avere fonte agevolata, anche mediante l’accesso al libero credito, il cui prezzo (l’ammontare degli interessi) può essere in parte sostenuto dall’ente territoriale esponenziale, o esclusivamente privata, laddove non si benefici di contributo pubblico.

Tutto ciò, ai fini che qui interessano non rileva (per questo non merita approfondimento la questione dibattuta e controversa tra le parti in ordine alla natura del finanziamento del quale ebbe a beneficiare la cooperativa Oclete). Quel che, a parere del collegio, assume dirimente rilievo è la considerazione che la individuazione della zona da riservare all’edilizia economica e popolare, al fine di adempiere al precetto costituzionale, è inderogabilmente di scopo. La individuazione in parola può avvenire in deroga allo strumento urbanistico e incide drasticamente sui diritti del proprietario del fondo, il quale è assoggettato alla predetta destinazione e all’espropriazione, senza che rilevi l’eventuale privata convenzione che costui stipuli con la cooperativa edilizia, trattandosi, appunto, di una scelta imposta dal vincolo.

Da ciò ne deriva che qualunque diversa destinazione di tutto o di parte del fabbricato dalla soddisfazione solidaristica dell’accesso alla casa d’abitazione contrasta con la normativa imperativa sotto duplice profilo, in quanto svia lo scopo di legge, per la persecuzione del quale vengono sacrificati i diritti di terzi (il proprietario del terreno) e, allo stesso tempo, perverte l’assetto urbanistico.

1.1.1.2. Sotto altro profilo occorre osservare che la rivendicata riserva di proprietà del piano piloty e di altre spazi contrasta frontalmente con quanto disposto dal T.U. sull’edilizia economica e popolare del 28/4/1938, n. 1165, il cui art. 205 dispone che “Fra i condomini di ciascun edificio, costituiscono proprietà comune ed indivisibile:

  1. a) l’area su cui sorge la costruzione, le recinzioni di zone comuni, le fondazioni, i muri maestri, il tetto, il cornicione, le intercapedini tra i fabbricati;
  2. b) il cortile, le chiostrine, il giardino, escluse le zone assegnate in proprietà ai singoli soci;
  3. c) la rete delle fognature ed i relativi pozzetti di ispezione, i tubi di scarico delle acque e delle materie di rifiuto, nonchè i tubi e le cunette delle acque piovane, escluso quanto è di pertinenza di ciascun appartamento;
  4. d) la scala ed il corridoio di accesso alle cantine, i locali del sottosuolo adibiti alle macchine per il riscaldamento comune ed al deposito comune di materiali, le fontane, la lavanderia e lo stenditoio comune con le relative vasche e condutture, ed ogni altro locale destinato originariamente a servizi comuni;
  5. e) le colonne montanti dell’energia elettrica e del gas fino ai contatori e dell’acqua fino al punto di diramazione ai vari appartamenti, salvo gli impianti individuali;
  6. f) il portone, l’androne, i portici e gli anditi di ingresso, i viali di accesso, nonchè i cancelli comuni;
  7. g) la scala di accesso ai singoli alloggi con le ringhiere e gli impianti per illuminazione, i relativi anditi e pianerottoli, l’ascensore, compresi i locali occupati dalle macchine. Se un fabbricato contiene più scale, la comunione di ciascuna è limitata ai condomini cui essa serve per accedere ai rispettivi alloggi, salvo il diritto di passaggio a favore di quelli fra gli altri condomini che debbono servirsene per recarsi ai locali sia accessori dei loro alloggi, sia comuni a tutto l’edificio;
  8. h) i locali destinati per gli uffici della cooperativa, quelli ad uso di portineria e alloggio del portiere con i relativi impianti di luce, d’acqua e di gas, e gli apparecchi del telefono interno ed esterno se impiantati ed esercitati per uso del condominio.

(…)”.

Alla luce della riportata norma non si vede come il piano piloty, che altro non è che l’area a giorno del piano terra, sulla quale insistono i pilastri dell’edificio condominiale, e gli altri ambienti facenti parte dell’edificio e del cortile di esso e destinati all’uso collettivo di tutti i condomini, possano essere sottratti alla loro destinazione legale.

L’art. 201, del medesimo corpo normativo si premura di premettere che “Le disposizioni contenute nel presente Titolo costituiscono parte integrante del contratto di assegnazione definitiva dell’alloggio cooperativo e di mutuo edilizio individuale stipulato o da stipularsi tra il socio e la cooperativa cui egli appartiene e la Cassa depositi e prestiti”. Per quel che prima si è chiarito la circostanza che la liquidità possa essere stata assicurata dall’ordinario sistema bancario non fa venir meno il vincolo di destinazione.

Converge, peraltro, sullo stesso risultato la disciplina codicistica del condominio e, in particolare/la previsione di cui all’art. 1117, a mente della quale rientrano indubbiamente fra le parti comuni quelle fatte oggetto della riserva della cooperativa edilizia con gli atti di assegnazione.

Riserva che non avrebbe potuto essere posta, in quanto la cooperativa, ultimata la costruzione, ha il dovere di assegnare ai soci, che, quindi, divengono condomini, non solo alloggi, garage e cantine di proprietà esclusiva, ma, pro quota indivisa, ogni altra parte dell’edificio, del cortile, di ambienti, locali ed aree accessorie d’uso comune.

Invero, è evidente, a questo punto del ragionamento, che la finalità dell’intervento edilizio e di mutualità della cooperativa, la quale esaurisce il suo scopo sociale con la conclusione del suo programma edificatorio, senza che residui anelito giuridicamente tutelabile al perseguimento di interessi lucrativi, non consentiva di lecitamente porre la riserva.

Lo scopo mutualistico di una società cooperativa è caratteristica essenziale del suo atto costitutivo, ed anche presupposto indefettibile per il godimento della speciale disciplina “di favore”, e dunque si traduce nell’indisponibilità, da parte dell’assemblea o del consiglio di amministrazione, del diritto di ciascun socio di partecipare ai programmati benefici dell’attività societaria. Detto scopo, nel caso di una cooperativa edilizia, non tollera la cessione a terzi degli alloggi edificati, ove la cessione medesima non sia mero strumento per il conseguimento dei fini istituzionali ed il miglior soddisfacimento delle posizioni costituite in capo al socio, ma esprima una scelta contrapposta al fine mutualistico, con il compimento di attività commerciale di tipo lucrativo e lesione di quelle posizioni. Da ciò consegue che, nel caso di estraneità del cessionario alla compagine sociale e dell’elusione dei diritti insorti in favore del socio per effetto dell’operazione mutualistica e del contratto di “prenotazione”, la delibera di alienazione del bene sociale è affetta da radicale nullità, per illiceità dell’oggetto, ai sensi dell’art. 2379 c.c., reso applicabile dal rinvio di cui all’art. 2516 c.c. (Sez. 1, n. 10602, 25/9/1999, Rv. 530252).

Anche le eccezioni all’esposto principio, ne confermano il fondamento. Si è, infatti, precisato (Sez. 2, n. 4021, 27/2/2004, Rv. 570648) che la possibilità di cessione degli alloggi edificati a terzi, con conseguente nullità per illiceità dell’oggetto della delibera di alienazione del bene sociale; tale situazione non è riscontrabile, tuttavia quando la cessione di una parte di edificio ad un estraneo alla compagine sociale costituisca non l’espressione di un’attività commerciale di tipo lucrativo contrapposta al fine mutualistico, bensì uno strumento perchè, senza lesione dei diritti dei soci, si conseguano i fini istituzionali ed il migliore soddisfacimento delle disposizioni costituite in capo alla generalità dei soci (nella specie la cooperativa edilizia aveva compensato i professionisti che avevano prestato la loro opera per la società con la cessione di alcune unità immobiliari nei costruendi edifici per mancanza di disponibilità finanziarie liquide e senza che questo fatto comportasse lesione dei diritti dei soci prenotatari).

  1. Con il secondo motivo i ricorrenti deducono omesso esame di fatti e documenti decisivi e controversi, nonchè omessa valutazione delle prove, ai sensi dell’art. 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Il motivo lamenta non essersi tenuto conto del diritto di proprietà dei soci sulle parti comuni, sin dalla prenotazione dell’alloggio, parti per le quali erano stati effettuati i pagamenti; nè del fatto che la cooperativa Oclete non aveva dimostrato di aver corrisposto corrispettivo per le parti riservate; nè delle risultanze della CTU, che aveva dimostrato l’inedificabilità e l’abusività della trasformazione; nè delle violazioni edilizie contestate dalla Polizia locale.

Con il terzo motivo, denunziante, ancora una volta, l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo, il ricorso insiste ulteriormente sull’abusività degli interventi edilizi operati dalla cooperativa. Inoltre, la Corte d’appello avrebbe erroneamente accolto l’appello incidentale a riguardo delle transazioni intervenute con cinque degli originari attori, risalenti al 22/12/1987 (in realtà non consta un dispositivo di accoglimento dell’appello incidentale, rinvenendosi solo un passaggio in motivazione a pag. 13), mentre dalla documentazione emergeva che gli abusi edilizi erano stati commessi nel 1994. La Corte locale, inoltre, aveva ignorato il sequestro penale del 25/11/1994.

L’accoglimento del primo motivo assorbe gli altri due motivi sopra immediatamente sunteggiati.

  1. In conclusione, la sentenza deve essere cassata con rinvio, demandandosi al Giudice del rinvio anche il compito di regolare le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

accoglie il primo motivo, assorbiti gli altri; cassa in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Roma, altra sezione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile, il 30 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 aprile 2019

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